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RIVERSIDE |
Reality dream (DVD) |
ProgTeam |
2009 |
POL |
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Chiusura ideale di un periodo felice, caratterizzato dalla pubblicazione di tre album subito apprezzati (forse oltre ogni previsione) dal pubblico europeo, giunge questa sfarzosa testimonianza live del quartetto di Varsavia, praticamente in simultanea con il nuovo, quarto lavoro di studio “Anno Domini High Definition”. A dire il vero, la versione audio di questo concerto ai Toya Studios di Łódź fu pubblicata già nel 2008 (la data qui filmata risale al maggio di quell’anno) ed è solo per il lungo lavoro di post-produzione che la testimonianza visuale giunge in ritardo, anche se il doppio DVD risultato di tanto lavoro promette di soddisfare appieno le aspettative dei sostenitori del gruppo prog-metal polacco. Ed è proprio qui che volevo arrivare: è corretto definire tale la musica dei Riverside? E’ innegabile che la scuola di provenienza di almeno 2/4 del gruppo sia quella metal: si deduce dall’espressione vocale, dai granitici riff di chitarra e dall’esuberanza delle tracce ritmiche. Detto questo, sarebbe difficile ricondurre la musica suonata direttamente ai prototipi prog-metal riconosciuti: le inflessioni dark e la tendenza ad evocare atmosfere claustrofobiche e nervosamente inquiete, rivelano intenzioni ed ispirazioni differenti, che per semplificare potrei accostare ai Porcupine Tree del dopo “In Absentia”. Ho provato ad analizzare istintivamente quali potrebbero essere le caratteristiche che fanno dei Riverside un’esperienza di grande successo (sempre in senso relativo, ovviamente…) quando da un giudizio superficiale rischierebbero di passare quasi inosservati nella schiera delle band promotrici di un prog “irrobustito” e modernizzato, e credo di aver trovato la chiave in un’innata capacità di creare melodie insolite e memorizzabili (pregio questo di molti gruppi polacchi dai Collage in poi!), nella personalità del cantante/bassista Mariusz Duda e nella versatilità del chitarrista Piotr Grudziński, capace di un tocco liquido e pulito come contraltare alle furibonde sfuriate cui accennavo poc’anzi.
Il concerto si apre con quello che a mio parere resterà per un’ora il miglior brano in scaletta: le atmosfere oniriche evocate dalla chitarra e dall’ipnotico basso di “The same river” ne fanno un brano perfetto nel suo genere, non troppo distante da ciò che ci hanno proposto i Pendragon con il loro ultimo “Pure”; brani più aggressivi come “Out of myself” o “Rainbow box” non lasciano invece troppo il segno, a causa di una struttura troppo lineare e ad alcune forzature nell’interpretazione vocale. Molto meglio la lunga “Volte-Face”, introdotta da un duello chitarra/organo su tempi dispari, un brano molto “tecnico” sulla scia dei Dream Theater di “Falling into Infinity”: il gruppo sa come lavorare di fino, i dialoghi chitarra/piano hanno il loro fascino, peccato che il cantato impostato troppo su stereotipi metal – quasi a smentirmi - riesca spesso a banalizzare un po’ il tutto. Su “Reality dream #3” ascoltiamo il primo, raro assolo di synth e finalmente possiamo apprezzare la fantasia di Michał Łapaj, anche se il brano rivela quello che risulta essere un difetto piuttosto radicato nella scrittura dei Riverside: il modo un po’ inconsequenziale e repentino in cui si passa da intermezzi più soft a tecnicissimi tour-de-force, che lascia a volte disorientato l’ascoltatore.
La corsa prosegue tra power ballads come “I turned you down”, brani dalla doppia faccia come “Parasomnia”, sempre pronti all’impennata ritmica inaspettata o la lunga “Dance with the shadows” che nonostante il senso di dejà-vu ormai sopraggiunto ci regala un buon assolo di Prophet (il rack di Michał è un ibrido analogico/digitale) ed un’ottima coda strumentale, fino all’altro piccolo capolavoro che sono i 16 minuti della title-track del secondo album “Second life syndrome” (giustamente il più rappresentato nella setlist), vero cavallo di battaglia con Mariusz finalmente vocalist sincero ed emozionale.
Il gruppo si rivela piuttosto statico visivamente e tocca alle elaborazioni digitali dell’immagine (in)trattenerci davanti allo schermo: l’effetto “pellicola invecchiata” ci accompagna quasi costantemente, così come il viraggio del colore e la sfocatura, quasi ad intensificare il senso di oppressione che raggiunge l’apice con le immagini proiettate a commento di “02 panic room”.
Il secondo DVD si apre con i due encore tratti sempre dalla data di Łódź, ma si rivela poi prodigo di filmati più o meno professionali a testimonianza dell’invidiabile attività live del gruppo dal 2006 in avanti, colmando anche alcune lacune di scaletta inevitabilmente presenti nel “programma” principale. A corollario di tutto ciò, un documentario diretto da John Vis sulla preparazione e il “dietro le quinte” della data ai Toya Studios. Ultima nota tecnica: la traccia audio è mixata solamente in stereo 2.0, ma non trovo in ciò motivo di lamentele.
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Mauro Ranchicchio
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