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CICCADA A child in the mirror Fading/AltrOck 2010 GRE/ITA

Racconta Platone nel “Fedro” che le cicale erano in realtà uomini così amanti della musica che si erano dimenticati persino di nutrirsi, finendo così per morire di fame, pur di non smettere mai di cantare. Per compassione questi furono trasformati dalle Muse in cicale, cosicché potessero trascorrere la loro breve esistenza cantando. Dopo la morte le cicale avrebbero potuto riferire alle Muse quali uomini sulla Terra avessero trascorso la propria vita onorandole e quali no. Questi ragazzi greci, che hanno scelto per il loro gruppo proprio un nome che rimanda alle cicale, hanno deciso di onorare le Muse col canto e con la musica, attraverso forme espressive delicate, gentili e allo stesso tempo complesse, capaci di arrivare al cuore delle persone proprio come il canto delle cicale al caldo sole d’Agosto. Questo album rappresenta al tempo stesso l’esordio discografico dei Ciccada e anche la prima produzione a cura della Fading, un distaccamento della AltrOck (etichetta specializzata in RIO e avanguardia) che si dedicherà invece alle correnti più sinfoniche del Prog. Dedicarsi al Prog Sinfonico non significa necessariamente scegliere un linguaggio musicale semplice e scarno e spartiti più ariosi e melodici non sono meno stimolanti di quelli d’avanguardia. Questo ce lo dimostrano palesemente i Ciccada, la cui musica è sicuramente cameristica, soprattutto grazie alla scelta di strumenti classici (violoncello, piano e flauto) ma allo stesso tempo ricca di riferimenti che ci rimandano alle forme più classiche del prog sinfonico, anche grazie alle bellissime tastiere vintage, con organo e Mellotron in primissimo piano. A tutto questo si aggiungono trame morbidamente folk, con arpeggi delicati di chitarra classica, il flauto dolce ma soprattutto con la voce ammaliante di Evangelina Kozoni, il cui stile ricorda quello di antichi canti rinascimentali e che si esprime sia in inglese che in greco. La formazione dei Ciccada è completata da Nicolas Nikolopoulos (flauti, tastiere, percussioni), Yorgos Mouchos (chitarra acustica ed elettrica) e da Omiros Komninos al basso, ma al fianco di questo nucleo, attivo dal 2005, sfilano come ospiti diversi altri musicisti, fra i quali segnaliamo Alberto De Grandis dei nostrani DFA alla batteria ed alcuni elementi degli Yugen e cioè Paolo Botta al Fender Rhodes, Valerio Cipollone al clarinetto, Pietro Cavedon al piano e Mattia Signò al glockenspiel. A prevalere sono le parti strumentali, all’interno delle quali il cantato sembra quasi diluirsi mollemente nella trama fittissima e cangiante intessuta dagli altri numerosi strumenti e a predominare sono i suoni acustici ed orchestrali. In alcuni momenti mi vengono in mente alcuni passaggi degli After Crying, per esempio nella suggestiva “Epirus – A Mountain Song”, sia per il cantato, che evoca immagini fiabesche e misteriose, sia per il suono del clarinetto, oscuro e romantico, sia per la maniera in cui elementi elettrici ed acustici trovano insieme la loro armonia. In momenti diversi la commistione fra elementi vintage profondamente sinfonici e classici mi fa ricordare gli israeliani Trespass ma anche i Cathedral di “Stained Glass Stories”, soprattutto quando gli impasti di Mellotron si fanno più decisi. Le soluzioni più leggiadre e folkish mi ricordano qualcosa dei primi Flairck ma più si va avanti con gli ascolti e più si moltiplicano le sensazioni ed i possibili punti di riferimento, fatto questo che verosimilmente dimostra che le analogie sono molto più probabilmente frutto del bagaglio culturale dell’ascoltatore che di una premeditazione dell’artista.
In linea generale preferisco i momenti in cui il sound si fa più vigoroso e deciso, in maniera tale da rendere la musica più frastagliata e ricca di contrasti, come può accadere nello strumentale “Elisabeth”, o nella movimentata traccia di chiusura “Garden of Delights”, pezzi che però non mancano di momenti leggiadri. Stiamo parlando comunque in questo caso soltanto di gusti personali e sono tuttavia certa che questo disco saprà accontentare gli animi di tutti gli appassionati di Prog, da quelli più esigenti, che amano le cose particolari e ricercate, agli amanti di atmosfere vintage che ricordano i primi anni Settanta, fino ad arrivare agli estimatori del Folk Prog e agli amanti della musica più romantica e melodica. Una bellissima sorpresa per quel che mi riguarda: un album bellissimo, perfettamente prodotto, ben registrato, con spartiti splendidi che consiglio agli amanti della buona musica in generale e che tiene alta la bandiera del Progressive Rock anche in un’epoca, come la nostra, che sembra averne decretato la scomparsa dalla memoria collettiva.


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Jessica Attene

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