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VEZHLIVY OTKAZ |
Gusi lebedi |
Soyuz Music |
2010 |
RUS |
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Questo nome forse non vi dirà nulla ma per chi ha confidenza con la scena rock underground della fu Unione Sovietica si tratta di una vera e propria band di culto. Nulla a che vedere però con i gruppi rock sgangherati e ribelli che popolavano le cantine di Leningrado e Mosca in clandestinità. I Vezhlivy Otkaz (conosciuti anche come Polite Refusal), come spiega Roman Suslov (voce e chitarra acustica), hanno da sempre desiderato suonare musica orchestrale, solo che avevano a loro disposizione soltanto il pianoforte, la batteria e la chitarra. La loro musica è infatti eccentrica ma perfettamente strutturata, movimentata ma cameristica, complessa ma allo stesso tempo diretta e mordace. La carriera dei Vezhlivy Otkaz inizia nel 1985 fra le pareti della facoltà di ingegneria e matematica dell’Università di Mosca. Qui Roman Suslov, Mikhail Vereshagin (basso), Mikhail Mitin (batteria), Peter Plavinskiy (tastierista e ideatore del nome della band) e Dmitriy Shumilov (voce) iniziano la loro avventura, mescolando il rock al jazz con arrangiamenti pseudo-classici. A questa formazione va aggiunto, ma solo nelle prime fasi di vita del gruppo, il poeta Arkadiy Semenov che crea i testi delle canzoni utilizzando complesse associazioni di parole che colpiscono per i loro suoni e per la loro musicalità. Questa caratteristica la ritroviamo costantemente nella musica della band e anche in questo nuovo lavoro, come vedremo. Capisco che il russo possa risultare indigesto per qualcuno di voi ma tutti possono comunque percepire il ritmo e la musicalità dei testi, pur non comprendendone il significato, che si mescolano armoniosamente alla musica. Fra il 1985 ed il 1986 la band registra il primo magnetoalbum, cioè un album clandestino su nastro, che si intitola “Opera”. Con la Perestroika il gruppo riesce a trovare diverse occasioni per farsi vedere dal vivo ed il risultato della loro popolarità è il cosiddetto “album bianco”, il disco omonimo stampato per l’etichetta di stato Melodiya nel 1989. Il periodo post sovietico si apre con “I-I-raz”, un disco molto particolare in cui ogni pezzo si ispira ad un tipo di danza e in cui la band sfoggia uno stile più maturo e definito. Nella ricca discografia dei Vezhlivy Otkaz, che comprende anche diverse opere dal vivo, mi piace infine citare, prima di entrare nel vivo della recensione, il loro apice artistico che è l’album “Kosa na kamen” (“falce su pietra”, espressione che in italiano equivale al modo di dire “a brigante, brigante e mezzo”), uscito nel 1997. Di questo album, “Gusi lebedi” (oche cigni) riprende il taglio avanguardistico e cameristico ed ovviamente un uso delle parti vocali molto musicale con assonanze che creano bellissimi contrasti con la musica. Rispetto agli esordi la formazione si è col tempo rimodellata, grazie anche all’aggiunta di nuovi strumenti che portano dei piacevoli arricchimenti timbrici, anche se la base portante è sempre costituita dal piano, dalla batteria e dalla voce. In questo nuovo album, assieme ai veterani Mikhail Mitin, Dmitri Shumilov (che ora suona basso acustico e contrabbasso) e Roman Suslov, troviamo Pavel Karmanov al pianoforte a coda e al flauto, Sergey Rizhenko al violino elettrico e voce e Andrei Solovev, tromba e voce. Lo stile del gruppo è immediatamente riconoscibile e in questo album appare particolarmente accattivante ed interessante grazie a spartiti variegati e movimentati, soprattutto per quel che riguarda le parti di piano, e mi verrebbe quasi da dire che il vertice di “Kosa na kamen” è stato raggiunto o addirittura superato. Troverete qui una meravigliosa miscela di musica da camera, prevalentemente acustica, con una struttura rock e contaminazioni col jazz, con una voce solistica molto caratteristica e teatrale, che non si limita a recitare ma costruisce delle vere e proprie linee melodiche che vengono riprese continuamente dalla musica, e in più i fiati ed il violino che vengono ad intrecciarsi in maniera raffinata agli strumenti principali. Possiamo percepire anche dei richiami al folk russo, ma questi, mascherati nel contesto di una formula orchestrale e cameristica, non appaiono immediatamente evidenti ma possono essere scovati nel modo di cantare o in alcune formule ripetitive e in certi ritmi, in alcuni particolari insomma che difficilmente possono essere inquadrati da un orecchio non allenato. Fornirvi dei paragoni con altri gruppi? Semplicemente impossibile. Non vi resterà che ascoltare questo che per me è indiscutibilmente il disco del 2010. Vi avverto però di un piccolo problema,:dovrete sudare un po’ per avere questo album (lo potete trovare indicato col titolo inglese “Geese and Swans”), che tra l’altro ha tutte le note di copertina solo in russo, ma ne vale la pena, soprattutto se amate la musica colta ed originale.
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Jessica Attene
Collegamenti
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2002 (Geometriya/AltrOck 2013) |
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