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ANDHIRA |
Nakitirando |
Ala Bianca Records |
2011 |
ITA |
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Ho sempre detestato i sardismi da cartolina, soprattutto quelli che raccolgono frammenti di tradizioni e costumi per cristallizzarli dentro manierismi beceri e patetici con intenti da acchiappaturista. Come nel folklore puro e nella “riscoperta” delle tradizioni popolari, anche nella musica il desiderio di attirare facili consensi ha portato spesso a costruire banalizzazioni (per non dire invenzioni di sana pianta) che poco hanno a che fare con la diffusione della cultura di cui si fanno vanto. E’ così, in Sardegna, accanto a riproposizioni fedeli (o presunte tali) di forme artistiche pure, per le quali si dovrebbe parlare più correttamente di “museo” che di “tradizione”, il sorgere di proposte che mescolano il moderno con l’antico (sempre supposto, ovviamente) ha purtroppo raggiunto livelli di qualità e sincerità abbastanza bassi, nonostante il discreto apprezzamento da parte del pubblico di livello medio a cui si rivolgono. Il progetto Andhira si inserisce in questo scenario come una boccata d’ossigeno puro nell’atmosfera ristagnante di una casa sprangata da tempo e preda di muffa e umidità. Conosciuti al pubblico prog per la collaborazione con i D.F.A. dello scomparso Alberto Bonomi nell’album “4th”, nel quale propongono insieme al gruppo veronese una splendida versione di “La ballata de 'isposa 'e Mannorri”, adattamento di un brano tradizionale, gli Andhira realizzano con “Nakitirando” un lavoro che rientra pienamente in un genere la cui denominazione di world music, seppure fuori moda, ne rappresenta una descrizione ideale. Invece di esplorare in maniera scontata il background musicale e culturale che possiede, il gruppo sardo propone una musica “totale” che affonda le radici nei suoni provenienti da varie parti del mondo, integrandoli in una sintesi che comprende sapori latini e mediterranei, jazz, classica, folk e sardità. La componente vocale svolge un ruolo determinante; le tre voci femminili disegnano polifonie suggestive con risultati superbi e sorprendenti, sconvolgendo una tradizione esclusivamente maschile. L’integrazione con i suoni acustici di pianoforte, percussioni e vari strumenti etnici, crea una musica sospesa nel tempo, immersa nella natura e dentro luoghi immaginari. L’intero album è un viaggio, a cominciare dal breve ma suggestivo brano iniziale, “Demiraia”, per continuare con “Nakitirando”, “Pioggia di caju”, “Thule” (che vede ospite Mauro Pagani al bouzouki ed al violino), “Rundines de andhira” e “Jala”, tutti quadri musicali sospesi tra l’apparente essenzialità strumentale e una ricchezza vocale che riesce a ritagliarsi il suo spazio come un altro strumento. Anche i testi hanno un sapore magico, e sono cantati in un idioma meticcio che unisce italiano, dialetto, lingue mediterranee e africane. Tra gli altri brani, “Pregadoria” è un’intensa ma ariosa versione del classico “Deus ti salvet Maria”, mentre “Rosso Malpelo” è un teatrale racconto ispirato all’omonima novella di Verga. Una menzione speciale merita “Granito e cemento”, piacevole divertissement nel quale il pianoforte di Luca Nulchis, principale compositore e autore dei testi, fa da base per i versi caustici che prendono in giro la corsa alla banalizzazione e alla perdita dell’identità culturale (bevendo progresso pisciamo folklore), ambientale (vendendo granito mangiando cemento) e sociale (pregando i potenti schifiamo i parenti) della Sardegna, barattata con gli inutili scampoli di modernità, avidità, pseudo-conoscenza e culto dell’immagine creati dalla televisione e dagli altri mezzi d’informazione. Per reagire a tutto questo, non ci resta che vivere la nostra vita “Nakitirando”, cioè “persistendo nell’andare avanti”, per usare il termine inventato dagli Andhira allo scopo di definire il proprio viaggio di ricerca musicale in una (forse) inconsapevole ridefinizione degli intenti originali della musica progressive. Nel frattempo, scopriremo che non è poi così importante sapere finalmente se i nuraghi son templi o fortezze militari
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Nicola Sulas
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