Home
 
D.F.A. 4th Moonjune 2008 ITA

Vi è mai capitato da ragazzini un regalo inaspettato? Una cosa che avevate ormai rinunciato a desiderare perché credevate che tanto fosse inutile aspettare? Beh a volte i desideri si realizzano e a volte sono piccoli quanto un dischetto da inserire in un lettore.
Forse qualcuno storcerà la bocca perché non stavo aspettando la riunione a cinque dei Genesis, o l’ennesimo disco di Peter Hammill o la ristampa dei concerti sul balcone di casa fatti dai Marillion, con Fish che registrava nel box doccia. A volte i sogni sono piccoli quanto le emozioni che possono darti brani suonati bene da un gruppo che conoscono colpevolmente in pochi, a discapito di altri di cui magari una persona ha l’intera discografia, anche se piena di cose orrende, perché è una cosa che fa molto prog con gli amici. Ognuno ha la sua storia musicale e se è una colpa preferire quello che di ottimo ha prodotto il carrozzone progressivo negli ultimi 15 anni rispetto al passato (tenendolo sempre presente)… beh sono colpevole.
I sogni magari si materializzano girando per Youtube e beccando un video da un minuto dove ti dicono che i DFA sono tornati e poi magari collegandoti al MySpace del gruppo e ascoltando le anteprime dei brani.
E’ passato tanto tempo da "Duty Free Area", troppo tempo. Quel disco è stato una delle cose più belle che ha girato nel mio stereo. Brani come "Escher" o "Caleidoscopio" stanno nella mia compilation ideale per far capire ad una persona perché ascolto questo tipo di musica.
Se questo "4th" fosse uscito quattro o cinque anni prima sarebbe stata la definitiva consacrazione per il gruppo veronese. Purtroppo l’appassionato progressive si scorda molto in fretta dei gruppi nuovi (ma poi fa la fila per vedere 5 cloni che rifanno i Genesis…) e c’è il rischio che i DFA debbano ricominciare tutto da capo.
Prima di entrare nei cinque più uno brani dell’ultimo lavoro dei DFA, scriviamo chiaramente per gli appassionati del genere iper sinfonico del tipo… ”aho non c’è il Mellotron quindi non è prog…” che forse è il caso di non leggere oltre. Non è il disco per voi, anche se vi perderete una gran bella cosa.
Scrivevo di cinque brani più uno. I primi cinque brani continuano il discorso interrotto otto anni prima. Progressive e jazz-rock, echi a tratti canterburiani, guardando anche un po’ verso l’avanguardia, per una miscela sonora stupenda che, a differenza di altri gruppi del genere, ha nelle melodie il suo punto di forza. Non c’è tecnica fine a se stessa, non c’è bisogno di strafare, le note vengono fuori spontaneamente, non ci sono forzature anche in un brano da quasi 20 minuti come "Mosoq Runa", dove un’introduzione di pianoforte ti porta in un mondo che se avesse disegnato un Pat Metheny più progressivo o l’Allan Holdsworth meno schizzato o i National Health con i mezzi di oggi staremmo parlando di capolavoro (… ma visto che l’hanno scritta i DFA bisogna pregare che almeno sia ascoltata), o in un brano come "The Mirror", dove si può apprezzare bene che grande batterista sia Alberto De Grandis. E‘ un peccato non citarli tutti i cinque brani perché son tutti belli ed è difficile anche spiegare a parole certe trame sonore, certi intrecci che nell’orecchio prendono forma.
Questi sono i cinque brani…e poi arriva il più uno…
“La ballata di s’isposa ‘e mannorri” merita un discorso a parte e personalmente per un motivo preciso. Ho tanti amori musicali, il rock progressive in tutte le sue forme è quello più forte, ma il primo amore in ogni caso non si scorda mai ed è la musica corale. E per chi da tanto tempo si impegna per far capire ai ragazzini ( e non solo) che cantare insieme non è una palla, ma può dare tante soddisfazioni, un brano del genere è un sogno che si avvera.
I DFA riprendono questo brano della tradizione sarda e si fanno aiutare in tutto questo dalle voci stupende delle Andhira (Elena Nulchis, Cristina Lanzi ed Egidiana Carta). Chi conosce il brano nella versione originale riscritta per tre voci da Luca Nulchis non ha problemi a riconoscerne la bellezza. Qui il brano assume dei colori che cambiano sempre. Non nascondo che è il brano che ho ascoltato di più: a volte mi colpisce l’introduzione, a volte il finale con quel Fender Rhodes in evidenza, a volte mi perdo nell’intreccio delle tre voci. Mannorri è il brano che fa la differenza, e che potrebbe aprire tante porte, non solo ai DFA ma anche agli Andhira.
A volte i sogni ogni tanto si avverano, e anche se durano poco e prima o poi bisogna svegliarsi, quando sono belli lasciano sensazioni che durano anche tanto tempo.

 

Antonio Piacentini

Collegamenti ad altre recensioni

ANDHIRA Sotto il vento e le vele 2004 
ANDHIRA Nakitirando 2011 
D.F.A. Lavori in corso 1996 
D.F.A. Duty free area 1999 
D.F.A. Work in progress live 2001 

Italian
English