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ABRETE GANDUL |
Enjambre sismico |
Fading/AltrOck |
2011 |
CHI |
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A distanza di sei anni dal precedente “Quentos para dormir” e ben a undici dall’esordio con “¿Bichos=Dichos?”, torna questa band cilena con la sua proposta molto ricca e trasversale. Come per i precedenti due lavori si può parlare di una solida base jazz rock sulla quale si insinuano rock, prog sinfonico, qualche assaggio di vaga tendenza RIO, momenti dal groove più spinto e momenti di largo space dal sapore jam. La formazione di questa terza uscita è la stessa della precedente, fatta eccezione per la collaborazione di Leo Arias al sassofono e al clarinetto. Quindi Jaime Acuna alle tastiere, Rodrigo Maccioni alle chitarre e al flauto, Antonio Arceu alla batteria e Pedro Santander. Il lavoro è interamente strumentale e si presenta ben congegnato, evidenziando un’ottima capacità compositiva, con gusto quasi meticoloso del particolare e dell’effetto giusto al momento giusto. La capacità della band nello sviluppare schemi in continua evoluzione con rapidissimi cambi, salite e discese umorali è avvertibile in ogni passo e quel che ne deriva è un approccio progressivo molto personale e molto riconoscibile. Avvertibilissima, a tratti molto evidente, la componente crimsoniana che ha da sempre contraddistinto il gruppo cileno: molti i passaggi di chiara matrice frippiana, ma un approccio non aggressivo delle chitarre, che tendono prevalentemente alla forma arpeggiata, porta ad un ascolto sempre piuttosto leggibile. Molto buono il lavoro di flauto che riempie ed addolcisce le forme come in “Hacia la nada”, di rilievo anche il lavoro ai fiati affidato all’ospite Leo Arias, della band conterranea Akineton Retard come possiamo sentire in “Consecuencia Natural”. Ma, ovviamente, il grosso del lavoro, l’impronta fondamentale del disco è data dall’intreccio delle ritmiche con la chitarra. Si tratta in effetti di una metodologia usata molto dal gruppo come nella lunga “Colapso”, dove – solo nel finale – si apre uno spiraglio per un bell’assolo di synth. Molto variegata è anche “Convergencia Caótica” che alterna momenti carichi ed aggressivi ad aperture space, a groove dal piglio funk e a minimali stacchi jazzy ambient. Stranamente, in questa forte varietà sembra ricadere anche un piccolo aspetto negativo. Sì perché si forma un’inspiegabile monotonia dettata non tanto dai molteplici aspetti musicali, quanto dal costrutto dei brani e dai suoni utilizzati che generano un po’ di affaticamento nel giungere alla fine tutto di filato. Non che il tutto sia penalizzato da questo aspetto, anzi, però ritengo che la band potrebbe arrivare a vertici ancora più alti inserendo e curando alcuni aspetti melodici alla stessa maniera con la quale curano quelli ritmici. Alla fine, comunque, otto brani per un’ora di musica piacevole, capace di scorrere senza intoppi e meravigliando per la continua evoluzione e per la varietà delle idee, magari non troppo originali, ma che mi portano comunque a consigliare il disco a tutti.
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Roberto Vanali
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