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ABRETE GANDUL Referencias circulares autoprod. 2018 CHI

Il quarto album di questa band cilena arriva dopo ben sette anni dal precedente “Enjambre sismico”, ed è una autoproduzione confezionata in una modestissima card sleeve. Lasciata l’etichetta Fading/AltrOck, le registrazioni di questo nuovo lavoro vengono completate nell’anno 2015, ma pubblicate solo nel 2018.
La formazione rimane immutata, ma ampliata da tre ospiti che vanno così ad implementare la gamma dei colori musicali a disposizione della band. Così, oltre al quartetto composto dai soliti Antonio Arceu alla batteria, Jaime Acuna al piano e tastiere, Rodrigo Maccioni alle chitarre, flauto e effetti vari, e Pedro Santander al basso, troviamo Alfonso Vergara al clarinetto, Paulina Mühle-Wiehoff al violoncello, e Miguel Ángel Cortés al fagotto.
“Referencias Circulares” è un disco strano, e non solo come mia personale sensazione da fruitore/recensore, ma perché lo è fondamentalmente nelle intenzioni. Ma partiamo dall’inizio, e a tal proposito, lascio a voi la traduzione e l’interpretazione della frase presente sul retrocopertina del cd: “Cautivados por el organismo célebre de hallan hundidos y sepultados los luminosos, los que ya no buscan, porque ya encontraron; los que no mienten, porque ya saben la verdad, aquellos que observan y esperan al que quiere buscar”.
Strana frase, vero?
Quel che posso tranquillamente affermare, e che forse molti di voi già sanno, è che gli oggetti con riferimenti circolari, sono in qualche modo problematici, connessi all’autoreferenzialità e ai paradossi. In campo informatico, tanto per fare un esempio, gli oggetti con riferimenti circolari possono mandare in crash un sistema, in loop un algoritmo. Ma poi, se ci si ferma a pensare e a osservare il loop infinito che caratterizza il nastro di Moebius o la bottiglia di Klein, allora ecco che salta fuori l’aspetto affascinante di questi oggetti problematici e percettivamente paradossali.
Sarò a questo punto brevissimo, e perdonatemi se per quanto detto finora, non entrerò nel dettaglio dei singoli dieci brani che compongono questo lavoro, lasciando che siate voi, se mai un giorno deciderete di ascoltare l’album, ad interpretare successivamente ogni singola traccia. Dunque, l’intero lavoro della durata di circa 47 minuti e completamente strumentale, ha musicalmente una forte matrice Crimsoniana, e mantiene la stessa atmosfera cupa misteriosa e nostalgica dall’inizio alla fine. La quasi onnipresente chitarra frippiana, mai aggressiva, fraseggia con tutti gli altri strumenti senza mai rubare loro la scena, lasciando che la natura jazz rock della band, si inserisca, o se preferite, si adegui senza forzature all’indole cinematografica di questa nuova proposta musicale.
Solida e sempre puntuale la sezione ritmica. In maggiore evidenza l’uso del pianoforte, anche se non mancano qua e là fughe tastieristiche. Fondamentali gli ospiti, che con i temi leggiadri del fagotto, del violoncello e del clarinetto, alleggeriscono efficacemente le tensioni, rendendo l’intera trama musicale più affascinante e fruibile.
Se tutto ciò dona all’intero lavoro un marcato senso di coerenza, nello stesso tempo, ascolto dopo ascolto, la sensazione di essere dentro ad un film senza inizio e senza fine diventa sempre più forte.
Ma che strano.
Un lavoro che mostra dunque coesione e coerenza ma che contiene degli oggetti dichiaratamente incoerenti?
Sì, forse è proprio così, e cercando di interpretare con più attenzione brani tipo “Errores Involuntarios” (Errori involontari), “Tango Ideológicamente Falso”, e “Inconsecuencia Natural” (Incoerenza naturale), me ne convinco sempre di più.
Vorrei concludere dicendo due ultime cose. La prima è che è un vero peccato che questo dischetto non abbia potuto godere della stessa qualità di registrazione e produzione dell’album precedente. Un prodotto finale più curato avrebbe di certo dato maggior fascino e credibilità a quest’opera singolare e ambiziosa. La seconda, è un semplice invito. E cioè l’invito ad approcciarsi a questo album lasciandovi andare, lasciandovi catturare così come ci si può lasciare andare e catturare da un'opera di Escher.



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David Aldo Masciavè

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