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THE COSMIC REMEDY |
The cosmic remedy |
Seacrest oy |
2013 |
ROM |
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In una pausa del suo progetto principale, cioè gli Yesterdays, Ákos Bogàti-Bokor non se ne resta inattivo e, coinvolgendo diversi artisti di varie nazionalità, dà vita ai Cosmic remedy. Se alcuni di essi appartengono all'entourage Yesterdays o Tabula Smaragdina (altro side project di Ákos) come Gàbor Kecskeméti (flauto), Tibor Popomàjer (basso), Làszlo Zsigò (batteria), Andrea Ercsey (voce... femminile), altri ancora hanno collaborato con Ákos, come il batterista finlandese Kimmo Pörsti (The Samurai of Prog) ed il vocalist Ulf Yacobs (Argos) in lavori più estemporanei, mentre altri ancora, infine, sono stati contattati tramite internet dopo averli visti all'opera su Youtube (il bassista italiano Francesco Faiulo, il cantante brasiliano Tico De Moraes). Un progetto multinazionale piuttosto distante dalle precedenti esperienze dell'artista rumeno (di etnia ungherese), in cui convivono l'amore per gli Yes e per i Beatles tra gli altri. Quattro lunghe suite, suddivise ognuna in 3 o 4 movimenti, incentrate essenzialmente sull'easy listening e che non disdegnano incursioni in ambito prettamente pop. Non convincono i 14 minuti di “Childhood suite”, malgrado il discreto inizio rappresentato dallo strumentale “Ouverture”, dal bell'incedere sinfonico. Melodie, vagamente Yes-style, scialbe e poco ispirate, e parti strumentali senza nerbo, anonime. Il trend non migliora con “A suite-case of memories”, suddivisa in 4 sezioni. E se la prima (“Postcard from Prague”) è un bel quadretto acustico (niente di trascendentale comunque), “Susie and me” (la seconda parte) è un mediocre brano simil-Beatles (quelli leggerini leggerini però...) e le cose non migliorano con “I'll be your friend” (la terza tranche), altro brano insipido stile “quei favolosi anni ‘60”, e non può essere sufficiente qualche svolazzo di flauto od un bel guitar-solo a sollevare dall'anonimato la quarta parte “I don't have to run”. La successiva “Lost marbles suite” si fa apprezzare quantomeno per le tre voci femminili (Vera Klima, Iulia Pardau e Andrea Ercsey) molto gradevoli. L'atmosfera rimane costantemente soffusa e vellutata, ma mancante del guizzo necessario a sollevarla dalla semplice mediocrità. L'ultimo brano, “Farewell suite”, ci concede qualche sprazzo di bravura di Ákos alla chitarra acustica (“Welcome to the pepperland lounge”), qualche riff più secco (“Train to nowhere”, ma con una fastidiosissima batteria programmata) ed un finale (“Hiding from the sun”) di anonimo pop. Potrà questo “The cosmic remedy” piacere? Ce lo auguriamo. Ma, per noi, da ammiratori sia degli Yesterdays che dei Tabula Smaragdina, si tratta di un album assolutamente inutile e ci dispiace proprio.
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Valentino Butti
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