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YESTERDAYS |
Colours caffč |
Author’s Edition |
2011 |
ROM |
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La prima prova discografica degli Yesterdays, band romena di etnia ungherese fondata dal chitarrista/tastierista Ákos Bogáti-Bokor, ci aveva deliziato con sonoritŕ morbide e suadenti, un riuscitissimo tentativo di mescolare il progressive solare di Yes e Camel con un’attitudine al passo con i tempi, sia dal punto di vista della scrittura che degli arrangiamenti.
Sono trascorsi ben sei anni dall’esordio, riproposto alla giusta attenzione da una successiva ristampa, e occorre registrare tre avvicendamenti nelle fila della band: l’ingresso della nuova cantante Linda Horvát, che aggiunge un tocco di fruibilitŕ in piů al reparto vocale, il nuovo bassista Zoltán Kolumbán che nonostante la provenienza da una band funky ci delizia con un suono denso e presente di scuola Chris Squire e il virtuoso flautista Gabor Kecskeméti.
L’album si apre con due brani frizzanti e gioiosi: “Jácték”, nello stile dei Camel di fine anni ’70, con un pastoso synth protagonista e la caleidoscopica “Forog a tánc”, che fa il verso agli Yes di “Going for the One” e “Tormato”, arricchita dal flauto e dalla chitarra fusion di Tamás Mohai (per un periodo suonň negli East sostituendo János Varga).
Il nucleo dell’album č rappresentato dai venti minuti della suite “Námafilm Szvit”, la cui prima sezione “Éjszaka” esordisce curiosamente (stesse note di chitarra con chorus e tremolo) come la celeberrima “Pull me under”, ma ben presto si sviluppa su una ritmica moderata con la voce filtrata di Linda e le iniezioni di Mellotron e Moog di Zsolt Enyedi (convinto fautore dei suoni analogici), a renderla un ottimo compromesso tra antico e moderno; la seconda parte “Némafilm” sfoggia un pianoforte in stile Supertramp, e la voce dell’ospite Karola Antal, concludendosi in modo molto lirico con il flauto a dialogare con Mellotron e glockenspiel, un episodio reminiscente del primo album. Il terzo segmento “Mélyrepülés” č molto piů pop, con sonoritŕ vagamente anni ’80 e piuttosto avulso dal resto del lungo brano.
L’album prosegue tra omaggi ai Jethro Tull piů spensierati (“Tükör”), dialoghi tra un flauto sovrainciso con effetto polifonico e il synth (“Flautoccatta”), episodi acustici con archi e percussioni (“Megpihensz”, interpretata dalla voce dell’ospite Timea Stutz) o jazzati (“Bábu”, con un organo un po’ circense ed il solito flauto, vera arma in piů del gruppo) o semplicemente melodici (“Zápor”).
Il maggiore focus sulle melodie vocali, fa sě che questa seconda prova risulti meno malinconica e riflessiva rispetto all’esordio, allo stesso tempo costituisce un passo avanti nella ricerca di una “voce” propria da parte di una band mai votata alla pura emulazione; detto ciň, non me la sento di affermare che si tratti di un passo avanti, piuttosto un (temporaneo?) allontanamento da certe atmosfere carezzevoli, qui sacrificate in favore di un approccio piů “pop” (nel senso piů nobile del termine), meritevole comunque della stessa attenzione.
Concludo segnalando che il batterista József Szűcs ha recentemente sostituito il batterista “storico” Domokos Csergő presente su entrambi i lavori.
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Mauro Ranchicchio
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