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ADVENTURE |
Caught in the web |
Progress Records |
2014 |
NOR |
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Sono passati quasi tre lustri dall'esordio, omonimo, dei norvegesi Adventure che faceva dell'epicità il suo tratto più caratteristico. L'approccio tellurico ed enfatico veniva confermato con il successivo “Beacon of light”, appena più raffinato e rifinito. Ora è la volta di “Caught in the web”. Le menti del progetto rimangono sempre il chitarrista Terje Flessen ed il tastierista Odd Roar (già una dichiarazione di intenti ? :-) ) Bakken, raggiunti per l'occasione dal bassista (e voce in alcuni brani) Terje Craig, dal batterista Kristian Resell, dai due cantanti Roar (ancora...) Nygård e Elen Caherine Hopen Furunes, dal pianista Knut Erik Jensen e da Lars Hyldmo e Tone Dahl al flauto. Nel nuovo lavoro non c'è spazio per nessuna suite, preferendo, la band, concentrarsi su brani più brevi e meno avventurosi, tanto che il pezzo più lungo non raggiunge gli 8 minuti. “Fast train” è un bel brano scattante che associa gli ultimi Uriah Heep con i Jethro Tull (quelli più rock) senza dimenticare la variabile new prog soprattutto nell'uso dei synth. “Solitude” è invece un brano d'atmosfera con un bell’interludio di pianoforte quasi impensabile se il trend fosse stato quello dei primi due lavori. Decisamente pomp ed appena attenuata dal flauto è “Empty minds”, con un avvolgente e dilatato finale strumentale. Con “Simple man” apprezziamo i primi interventi vocali di Elen Catherine Hopen Furunes: l'atmosfera è malinconica e può anche ricordare i Mostly Autumn (un pizzico più duri), mentre il finale (con i vocalizzi della Furunes) è decisamente pinkfloydiano. Un heavy prog privo di fronzoli ed un po' deboluccio nel ritornello è “Test of time”. Riff decisamente pesanti ci portano dritti alla title-track o, meglio, a “Caught in the web part 1” con decisi stacchi di Hammond e Moog a non farci dimenticare l'amore anche per sonorità vintage di Flessen e Bakken, i due leader del gruppo. Appoggiata su un tappeto di note di pianoforte è, per contro, la parte due, con un assolo melodico di Flessen (subito dopo il cantato) presto doppiato da quello di Bakken alle tastiere per l'epico finale. Raffinato e delicato lo strumentale “Hope” (ma siamo sicuri siano lo tesso gruppo di “Beacon of light”?) che poi si sviluppa in un arioso finale. Piacevole, briosa e con numerosi breaks la traccia finale “Into the dream”. Un lavoro nel complesso piacevole e ben confezionato che si dimostra più variopinto rispetto ai predecessori e meglio amalgamato. Una conferma della line-up e un maggiore coinvolgimento in fase compositiva anche degli altri membri (peraltro già in atto) potrebbe instillare ulteriore linfa al sound del gruppo e renderlo ancora più coinvolgente. Si attendono sviluppi.
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Valentino Butti
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