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Forse bisogna rispolverare un termine che lo stesso Marco Masoni provò ad avanzare in occasione dell’uscita dell’album dei Germinale “Cielo e terra”: “musica evolutiva”. Di quel gruppo Masoni era bassista e compositore e contribuì non poco, con le sue idee, a sviluppare un percorso sonoro di grande bellezza e personalità, con una proposta elegante che si muoveva tra progressive degli anni ’70, suoni moderni, cantautorato colto e tanto altro ancora. “Il multiforme”, primo episodio solista su lunga distanza per Masoni, sotto certi aspetti può essere visto proprio come l’ideale prosecuzione di “Cielo e terra”, riprendendone quei tratti che gli valsero l’appellativo “evolutivo”, anche se, ovviamente, in questo caso emergono ancora di più l’individualità, il carattere e il pensiero del musicista rispetto al lavoro di gruppo. Marco si diverte a giocare dando tante indicazioni e indizi, già con quel titolo particolare, che ben descrive la sua persona, così come i contenuti dell’album. Poi, nel disegno di copertina e nelle foto interne del booklet si possono individuare immagini e numerose altre copertine celebri e meno celebri, che indicano alcuni suoi idoli che di sicuro lo hanno influenzato nella sua carriera e si va da grandi del prog quali Emerson, Lake & Palmer, Soft Machine, Pink Floyd, Mike Oldfield, Goblin, Anthony Phillips, a classicissimi del calibro di Beatles, Led Zeppelin, David Bowie, agli italiani Battisti, Battiato, De Andrè e Tenco, ai “contemporanei” Finisterre e Standarte, all’immancabile Frank Zappa, ecc. In alcune foto, inoltre, basso e chitarra acustica sono protagonisti, esattamente come lo sono nella vita di Marco e in questo lavoro.
Il disco parte alla grande con “Tutti in colonna (la vita non è)”, brano che potrebbe anche essere accostato al repertorio dei Germinale, con una semplicità apparente che in realtà nasconde tantissime finezze, con i suoi ritmi vivaci, le melodie immediate ed una musicalità scanzonata, caratterizzata da arrangiamenti eleganti su un testo brillante e intelligente. Quasi a voler subito far notare che l’album vuole muoversi in più direzioni, segue “Catarsi”, con una prima parte che è un chiaro omaggio ai Pink Floyd di “Breathe”, con un bel flauto ad abbellire il tutto, ed una seconda ricca di intense combinazioni strumentali (ed un organo Hammond in grande evidenza a duettare ancora con il flauto), che gli appassionati di progressive rock gradiranno di sicuro. E continuando l’ascolto si passa da momenti di grande intimismo, tra cantautorato e folk, come “Perdersi” e “Sa domo de su re” al pop-rock brillante di “Maggio d’improvviso”, dal rock ‘n’ roll duro e puro, un po’ à la Rolling Stones, di “Predoni” a pezzi che sembrano raccogliere l’eredità dei Germinale, come “Il treno temporale”, “Mi ha detto Bob Dylan” e “Theodore il poeta”. Punte di surrealismo vengono toccate con “Il suicidio di 500 pecore”, in cui, similmente a quanto fatto con i Germinale per “La battaglia per il Sampo”, composizione facente parte del progetto “Kalevala”, su una base musicale molto vicina a certo prog sinfonico, il testo, consistente in pratica nelle cronache di diversi episodi di suicidi collettivi di pecore, viene recitato (da quattro collaboratori). Questa grande varietà si rispecchia anche nella strumentazione usata, a volte ridotta anche a situazioni acustiche con chitarra, piano e percussioni e in altre occasioni molto più ricca e corale, con l’apporto di svariati ospiti (tra cui segnaliamo anche gli ex Germinale Salvatore Lazzara e Alessandro Toniolo). I testi risultano di importanza fondamentale. Con questi, caratterizzati tutti da grande acume, Masoni affronta i più disparati argomenti, toccando anche esperienze personali. Così, è capace di raccontarci delle piccole cose che gli “danno tranquillità sui destini di questo mondo”, tratta a modo proprio tematiche legate alla vita e alla morte, ci spiega cosa gli ha detto Bob Dylan attraverso citazioni e parole proprie, ci narra, in pratica, di come vede numerosi aspetti della realtà odierna ed è lui stesso a dare ulteriori indicazioni in un libretto ricco di informazioni e contenente anche gli accordi delle varie canzoni. Inoltre, come aveva già fatto con i Germinale, tra un brano e l’altro Masoni si diverte ad inserire piccoli frammenti bizzarri, tra curiose registrazioni, un estratto di un’intervista che gli fece Red Ronnie, rumori di passi e risate, belati e suoni che anticipano l’inizio della traccia vera e propria. Non poteva mancare, infine, una “(Not so) ghost track”, un vero e proprio collage di effetti sonori, riprese di temi già affrontati durante l’ascolto, parti recitate e altre sorprese ancora. E in tutto questo marasma di influenze, percorsi personali, varietà musicale, è avvertibile una sorta di filo comune che lega il tutto e che fa sì che la filosofia di vita di Marco emerga in maniera forte e coinvolgente. Di questo album si potrebbe scrivere ancora tantissimo, visti i numerosi spunti che riesce ad offrire, ma, come si dice spesso in questi casi, meglio ascoltare... Tuttavia, poiché siamo sulle pagine di Arlequins, forse bisogna affrontare brevemente anche un altro argomento con un interrogativo inevitabile che per qualche appassionato di mentalità non troppo aperta può essere importante: quest’album può essere considerato prog? Be’, stiamo parlando di un disco multiforme e di un artista multiforme… Quindi “Il multiforme” è anche prog, pur mantenendosi ben lontano da cavalcate pompose e intricatissimi tecnicismi. Ma non è questo che conta. Ciò che importa è che il mix sonoro variegato e colorato che abbiamo modo di ascoltare è davvero bellissimo, adatto ai palati fini ed anche ai meno esigenti. Il primo full-length per Marco Masoni centra pienamente il bersaglio, ci fa conoscere meglio un artista dalle mille risorse e qualità attraverso quella musica evolutiva di cui parlavamo all’inizio e va salutato con un calorosissimo applauso!
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