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PETER BANKS EMPIRE The Mars tapes Gonzo Multimedia 2014 UK

Storia curiosa quella degli Empire. Il chitarrista Peter Banks (noto ai più per la sua militanza nei primi Yes), dopo le esperienze con i Flash e la realizzazione del suo lavoro solista “Two sides of Peter Banks”, conosce nel 1973 la cantante Sydney Foxx (vero nome Sidonie Jordan), con la quale inizia una relazione sentimentale e mette insieme un nuovo gruppo, denominato, appunto, Empire. La band riesce a registrare tre dischi tra il 1974 e il 1978, che saranno tuttavia pubblicati ufficialmente solo verso la metà degli anni ’90, con la semplice denominazione di “Mark I”, “Mark II” e “Mark III”. Si tratta di lavori un po’ indecisi tra pop-rock e progressive, anche se il primo è sicuramente di buonissima qualità e può meritare attenzioni per chi ama il sound dei primi Yes e dei Flash, qui indirizzato tra spunti melodici e qualche tentazione jazz-rock (non a caso nella prima line-up figuravano John Giblin e Preston Ross-Heyman e c’era tra gli ospiti anche Phil Collins, tutti futuri Brand X). A sorpresa, nel 2014, arriva un nuovo capitolo discografico per gli Empire, addirittura in doppio cd. E’ una documentazione dell’ultima incarnazione della band, che nel 1979 registrò dei demo presso gli studi Mars di Los Angeles, riprendendo anche alcuni brani già incisi in precedenza. L’album soffre un po’ meno i difetti dei suoi predecessori, vira più nettamente verso lidi prog e anche per questi motivi può essere considerato il più interessante nella discografia degli Empire. La nuova versione di “Out of our hands”, posta in apertura, insieme a quei brani che mostrano un minutaggio più elevato, come il medley formato da “Foundation”, “Destiny” e “Far away” (in questa nuova veste molto più convincenti rispetto alla loro presenza sul “Mark III”), “Somewhere over the rainbow bar and grill”, “Do what you want” e agli strumentali “Where yes means no” e “Off with the king’s head” rappresentano forse i vertici del cd. Queste citate sono tutte composizioni che viaggiano un po’ a cavallo tra l’eredità dei primi Yes e le tentazioni fusion e Banks può dettar legge con la sua chitarra, agile e vibrante, ma si ritagliano spazi anche intarsi strumentali in cui la sei corde duella con le tastiere e la voce squillante della Fox, sempre pronta a mettersi in bella evidenza. Tra le altre cose si segnala un’esecuzione di “Something’s coming” di Leonard Bernstein, vecchio cavallo di battaglia dei primi Yes, in una lunghissima interpretazione di oltre diciassette minuti. In conclusione, inoltre, c’è la bonus track “Sky at night”, già presente su “Mark I” e nella quale suona anche Phil Collins. E’ un pezzo di quasi dieci minuti, finemente costruito, con un’apertura dalla vena classicheggiante, tra arpeggi di chitarra acustica, inserti di tabla (suonata da Sam Gopal) piano e contrabbasso ed un prosieguo vivace con cambi di tempo e di atmosfera. La qualità audio di “The Mars tapes” non è proprio il massimo e spesso si avverte un forte fruscio, ma nel complesso siamo di fronte ad oltre un’ora e mezza di musica abbastanza buona, anche se non eccezionale e che fa ulteriore luce su un momento della carriera di Peter Banks da non trascurare.



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Peppe Di Spirito

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