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I WILL KILL CHITA (IWKC) |
Evil bear Boris |
Long Arms Records |
2015 |
RUS |
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Chissà se in tutti questi anni questo stranissimo gruppo è riuscito nel proposito malevolo di far fuori la povera Chita, immaginando che con questo nome intendano la celebre scimmietta che compare nella avventure di Tarzan... E intanto sono passati cinque anni dall'EP di esordio intitolato “Best Days” e siamo già alla settima uscita discografica contando, inclusa quest'ultima produzione, 4 EP e 3 LP. La formula è inquietante e bizzarra e nasce da una lunga ricerca stilistica tesa al raggiungimento di una propria individualità musicale. Artefici di questo percorso sono i fratelli Samarin, Nikita e Nick, batterista il primo, bassista e tastierista il secondo che sono partiti da basi punk/garage per approdare, grazie al contributo di diversi performers, ad uno stile eclettico, muscolare, caotico e sicuramente particolare. Percepiamo ancora benissimo sulla nostra pelle pruriti musicali alquanto rumorosi ma le forti suggestioni neoclassiche, disegnate dal violoncello di Artem Litvakoskiy e Alexandra Ramazanova e dal violino di Ksenia Pluzhnikova, riescono a rendere struggenti anche gli incubi sonori più strazianti. Pensate ad esempio alla lunga traccia di apertura (23 minuti) che risponde al titolo pragmatico di “Point of No Return”, un semplice assolo centrale di archi riesce persino a commuoverci prima che la musica ci sballotti fra riff potenti e sporchi (anche se non ci sono chitarre a produrli), contaminazioni post rock e loop feroci, in un mescolio di intersezioni musicali ed ossessioni, impasti avant rock e post rock. Gli interventi dei fiati poi, con la tromba ed il trombone di Ramil Mulikov, il corno francese di Ekaterina Voronkova, il sax di Anton Ponomarev e la tuba di Konstantin Podgorbunskiy, ci regalano sfuriate jazz rock dai connotati free che contribuiscono a complicare ulteriormente un quadro sonoro di lettura nient'affatto immediata. E visto che non si riesce proprio a stare tranquilli, ecco le urla del Theremin e l'apporto del coro del college musicale di stato di Gnesin che aleggia come uno spirito in pena alimentando scenari macabri e incubi popolati da spiriti inquieti. Una dolcezza inaspettata riempie le melodie della successiva “Alles Unter Kontrolle”, sei minuti carichi di ottimismo e speranza giocati su temi aperti e sinfonici. Dopo l'esplosione del primo brano, ben più sviluppato ed articolato, le restanti quattro tracce sembrano quasi degli esercizi di stretching e possiamo assaporare l'ensemble alle prese con spazi musicali più compatti. Il risultato è rappresentato da quattro graziose miniature dal sapore minimalista. Discreta e misurata, con i suoi lunghi treni di tastiere, i ritmi cadenzati e le ripetizioni, “Ned Hoper” ci accompagna per poco più di tre minuti. “Keine Rationale Erklärung”, criptica ed ombrosa, si estende per poco meno di due minuti ed infine “The Music Will Play In Your House But You Won't Hear It” chiude l'opera con i suoi sei minuti portandoci ad una durata totale piuttosto contenuta di 41 minuti. Riguardo al titolo di quest'ultima canzone lo trovo a dir poco sarcastico, difficile che non vi accorgiate di una valanga di sassi che vi fanno letteralmente intrecciare le budella. Tale è l'impressione che si ha appena il pezzo parte, disorganizzato e brutale, come se un intero museo di arte moderna si stesse sbriciolando. Forse il risultato complessivo è un po' confusionario, a volte i suoni istintivi vi aiuteranno a farvi venire un po' di mal di stomaco ma mi sento di dire che il gruppo ce l'ha messa davvero tutta per creare qualcosa dal carattere deciso ma che soprattutto non passi inosservato. Ad alcuni piacerà, altri rimarranno spiazzati, altri ancora scapperanno via ma in ogni caso, che sia la sensazione di profondi graffi sulla schiena o che sia una strana ed indecifrabile ebbrezza, un qualche effetto, vi assicuro che in un modo o nell’altro lo sentirete.
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Jessica Attene
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