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T |
Fragmentropy |
Progressive Promotion Records |
2015 |
GER |
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Non sono pochi gli artisti “prog” che decidono di realizzare in completa autonomia o quasi musica di (si spera) qualità. Tra questi c’è il signor Thomas Thielen (alla quinta performance solista) che con “l’originalissimo” nome T, pubblica “Fragmentropy”, suddiviso in tre capitoli/suite o, se preferite, in 7 brani della durata complessiva che supera abbondantemente i 70 minuti. Mister T si occupa di tutti gli strumenti e delle parti vocali con risultati accettabili anche se la batteria (come sovente accade in operazioni del genere) suona spesso e volentieri molto artificiosa e “plastificata”, inficiando non poco il valore del prodotto finale. Le influenze di Thielen spaziano dagli anni ’70 (Genesis ma anche VDGG, Camel) al prog contemporaneo ed al cosiddetto post-rock in un melting pot gradevole ma certamente non indimenticabile. I brani rimangono sempre nell’ambito del piccolo-medio cabotaggio senza grossi sussulti e la prolissità dei pezzi non aiuta certo ad avere impressioni sempre positive, tutt’altro. Non si discutono ovviamente le qualità dell’artista tedesco, valente tastierista e chitarrista, nonché buon vocalist, ma “Fragmentropy” convince solo a tratti. La prima suite, “Anisotronic dances”, vive di discrete intuizioni simil-Marillion (periodo Hogarth), di atmosfere dilatate ed oniriche, di qualche spunto di frizzante new-prog che va ad alternarsi a momenti sottilmente malinconici. Il secondo brano, “The politics of entropy”, segue le coordinate del precedente, con momenti soffusi e pacati ben scanditi dal pianoforte ed altri decisamente più rock e di buon impianto melodico. Gli inglesi sintetizzerebbero con un Marillion meets Porcupine Tree e ci accodiamo volentieri ed abbastanza concordi. Non vengono mai toccati gli accenti più duri dei “porcospini” e neanche i momenti più intimisti dei primi, peraltro. Un discreto utilizzo dei fiati conferisce maggiore profondità al brano ed anche una certa originalità di fondo. Qua e là qualche sprazzo sinfonico tanto per gradire. “The art of double binding”, la terza traccia di soli 18 minuti (!!), non trascura ritmi più incalzanti ed incastri vocali azzeccati, associati a momenti strumentali solenni ed enfatici. Confermando i momenti di atmosfera più pacata ed ovattata. Non mancano in “Fragmentropy” i momenti gradevoli e stimolanti, come non mancano le situazioni di stanca e di ispirazione calante. Una contrazione nella durata dei brani avrebbe, forse, permesso una maggiore fruibilità dell’album ed un risultato finale più vicino alle ambizioni del progetto, che è apprezzabile, ma che nell’occasione ha segnato un poco il passo. La sufficienza è comunque raggiunta.
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Valentino Butti
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