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RIVENDEL |
Sisyfos |
Lednevir Records |
2018 |
SPA |
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Se andiamo a vedere la classificazione di questo gruppo basco nei vari siti musicali, troviamo ancora per loro la definizione “neo Prog” o “Prog sinfonico”, retaggio del loro primo album (“Manifesto”) risalente addirittura al 1990. I tre musicisti che portano avanti questo monicker sono ancora gli stessi (Toño Cruz -chitarre-, Oscar Belío -Mellotron, organo, piano e synth-, José Mari Aguirrezabala- basso e flauto elettrico) ma la proposta musicale evolutasi nel tempo fino a questo loro quarto album in studio non potrebbe essere più diversa dal neo Prog. Innanzi tutto c’è da dire che, come puntualizza il gruppo stesso, questo è il loro primo album che vede la presenza di una batteria acustica convenzionale. Viene poi confermata (fortunatamente!) la rinuncia ad ogni velleità canora, dando vita ad un lavoro unicamente strumentale. Quest’album è dedicato all’illustrazione musicale del mito greco di Sisifo attraverso paesaggi sonori che rimandano addirittura a Univers Zero, Art Zoyd o ai King Crimson più sperimentali. Ovviamente, se non fosse per i titoli dei brani, non riusciremmo a seguire le varie fasi del racconto della vita di Sisifo, condannato alla fine da Zeus a spingere ogni giorno una roccia in cima a una montagna, salvo vederla rotolare giù ogni sera, in una fatica senza fine che viene drammaticamente dipinta nell’ultimo brano dell’album (“Sisyphus and the Rock”) attraverso l’intreccio, talvolta impazzito, tra chitarra, Mellotron, batteria… per un risultato autenticamente RIO nelle intenzioni, di rottura e in opposizione anche contro se stessi e quei loro inizi acerbi e sgraziati. Sembra anche che all’interno dell’album stesso ci sia un percorso musicale evolutivo. Le prime tracce sembrano in effetti più paesaggistiche ed atmosferiche ma la musica pare pian piano indurirsi e acquisire tonalità sempre più spigolose via via che la storia fluisce ed i toni si fanno sempre più drammatici. Le ritmiche si mantengono tuttavia sempre cadenzate, senza eccessivi strappi, dato che la batteria (per la cui presenza ringraziamo… Zeus, visto che uno dei limiti che riscontravamo nel gruppo era proprio quel fastidioso drumming elettronico) si limita spesso a scandire il passo, salvo prodursi talvolta in intrecci impazziti con gli altri strumenti, senza alzare tuttavia il ritmo generale. Si tratta di un album affascinante ed intrigante, dall’ascolto non facile ma di certo appagante. Le sonorità non sono peraltro neanche così lontane da quanto un ascoltatore di Prog sinfonico potrebbe (con un minimo di impegno…) poter apprezzare e non posso esimermi dal consigliarne almeno un ascolto preventivo.
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Alberto Nucci
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