|
DARRYL WAY |
Vivaldi's four seasons in rock |
Right Honourable Records |
2018 |
UK |
|
Ecco uno di quei casi in cui non si può liquidare una recensione con quattro parole, come invece occorrerebbe fare. E già, perché Darryl Way è personaggio importante per il prog sinfonico e per la musica in generale, con un curriculum e una storia di tutto rispetto, fattori che impongono più di un paio di righe quando si parla di lui. E allora – per chi fosse un neofita – risulta necessario dire che qui stiamo scrivendo del violinista/tastierista co-fondatore degli storici Curved Air, noti per la loro commistione neoclassica durante gli anni ’70. Inoltre, con la sigla Darryl Way’s Wolf il nostro ha dato vita a tre album che nel biennio 1973/74 hanno creato davvero un’ottima impressione, grazie anche al chitarrista John Etheridge, futuro Soft Machine. Poi non possono certo essere dimenticate nel 1978 le presenze sia su “Expresso II” dei Gong (ormai guidati definitivamente da Pierre Moerlen) che su “Heavy horses” dei Jethro Tull. Subito dopo, la carriera solista. Volendo quindi prendere l’inizio e la fine di questa storia, Darryl Way sfrutta l’occasione del cinquantenario di “Vivaldi” (brano composto proprio per i Curved Air, il cui stile appare emblematico fin dal titolo) e finalmente realizza il sogno di rileggere in chiave rock le celeberrime “Quattro stagioni” del compositore italiano citato nel titolo di cui sopra. Nelle note di copertina ci si premura di scrivere che non si può ulteriormente perfezionare ciò che è già perfetto, quindi sarebbe almeno in parte lecito chiedersi il significato di tale operazione. Il musicista inglese è bravissimo, non lo si scopre certo in questo frangente, capace di risuonare col suo violino tutte le partiture alla perfezione, dimostrando una perizia ed una dedizione assolutamente straordinarie. Ma il problema è che tali stesure non possono per l’appunto essere modificate e quindi ci si limita ad apporre delle basi di batteria, qualche sintetizzatore o qualche vago accenno di chitarra. A questo punto, la domanda sorge spontanea: perché dover ascoltare questo album – se non per fugace curiosità – e non andarsi a sentire direttamente l’originale, che peraltro presenta un pathos classico qui completamente assente? Magari ci sono alcune eccezioni, come “Allegro non molto (in G minor)”, primo movimento de “L’estate”, ma la regola di base non cambia. Probabilmente si trattava davvero della realizzazione di un desiderio e se così fosse non si può che essere contenti per la sua felice attuazione. Ma se si vuole ascoltare la musica del Maestro italiano, allora – lo si ribadisce – è sicuramente meglio sentire le versioni delle orchestre autentiche, a meno che non ci si senta dissacratori per vocazione (o per partito preso). Se poi si vuole ascoltare qualcosa del violinista britannico, si cominci pure da quei tre album citati per il biennio 73/74, ovverosia “Canis lupus”, “Saturation point” e “Night music”, con una particolare attenzione al secondo titolo indicato.
|
Michele Merenda
Collegamenti
ad altre recensioni |
|