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EMILIANO DEFERRARI |
Monty |
Rattsburg Records |
2018 |
ITA |
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Emiliano Deferrari forse non è un nome molto noto nel normale “giro” prog a cui siamo solitamente abituati. Personalmente ho avuto modo di memorizzare il suo nome solamente dopo il progetto rock condiviso con Matteo Nahum chiamato “Nanaue”. Stiamo parlando di un genovese di nascita, classe 1977, che ha spostato la propria vita prima a Roma nel 2005 e poi a Bruxelles in Belgio nel 2014. Deferrari è un polistrumentista completo, spaziando tra tastiere, chitarre, canto, percussioni, archi, fiati, basso ed ogni sorta di apparato elettronico. Ha alle spalle una discreta discografia e, oltre al citato lavoro con Nauhm, troviamo una serie di singoli, alcune partecipazioni ai tribute records dell’etichetta sanremese Mellow Records, un album sperimentale e di improvvisazione live con Adriano Arena del 2009 “The Loop Duo”, ancora un EP e un album per la Rattsburg, 2009 e 2010 “Light Ears” e un album solo del 2002 “Small Engines” composto e inciso in precedenza. Questo nuovo lavoro, nel quale fa, ovviamente, tutto da solo, è stato scritto e inciso a Bruxelles nel suo studio denominato Monty Studio, mixato da Matteo Nahum a Valencia in Spagna e passato poi a Brooklyn per il master finale, ovviamente anche composizione musicale e scrittura dei testi sono interamente di Deferrari, che essendo proprietario dell’etichetta si è occupato anche della produzione. Il respiro internazionale e i multipli passaggi realizzativi, danno al lavoro un piglio decisamente professionale, evidenziando tutti i caratteri di grande pulizia e personalità sia nella scrittura, sia nell’esecuzione. Musicalmente siamo all’ascolto di un album di canzoni, sottolineando l’aspetto più serio e impegnato del termine, tenuto conto che tutti i brani presentano sì, momenti anche riconducibili al pop, ma che hanno al loro interno anche momenti più sperimentali e strutturalmente non certo prontamente accessibili. L’aspetto jazzy degli arrangiamenti unito a metriche melodiche e vocali molto variabili, di aspetto curvilineo intorno alle narrazioni e un utilizzo davvero poco convenzionale e, al contrario, molto personale della strumentazione, completano il quadro di un disco molto emozionale, vissuto sia a pelle, sia più visceralmente, grazie al concept creato dai testi. Testi che sono tutti in italiano e hanno un impronta di tipo poetica e cantautorale, spesso anche nell’esposizione metrica e melodica con contenuti presi dall’intima quotidianità, quasi fossero un discorso in diretta tra il sé esterno e quello interno o magari tra il protagonista e qualche altra figura più o meno di passaggio nella vita. Non mi sento di citare brani specifici, tutti e 9 hanno peculiarità analoghe, dominati da suoni particolari, molto filtrati, con chitarre che lavorano come fossero mellotron, percussioni rotolanti che sembrano voler indicare un qualcosa in sviluppo piuttosto che una certa puntuale ritmica, piano elettrico, poca chitarra. E su tutto il registro altissimo della voce di Deferrari. La conclusiva “Fuoco”, ecco cosa c’è sicuramente da citare, sia per essere un po’ il riassunto dell’opera, sia per essere il punto di fuga di tutte le linee che partono da Deferrari per convergere là dove Wyatt segnò in maniera indelebile la posizione della perfezione musicale, divenendo ispirazione, metro e destinazione di molti musicisti. Un punto che si chiama Rock Bottom e a cui Deferrari, mira in maniera chiara e puntuale. Vero che puntare l’inarrivabile è una sconfitta in partenza, ma con impegno e personalità si può fare un buon lavoro e far sì che il mestiere di musicista sia ancora un sano e potente strumento d’arte. Deferrari ci mette e per questo va promosso, sicuramente.
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Roberto Vanali
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