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La tesi di partenza è che quando un disco suona rock, dal vivo sarà ancora più rock. Velocità, chitarre più aggressive, atmosfera, tutto porta ad incrementare la dose di rock di un brano nella sua esecuzione live. Con questo “Live Pillheads” Paolo Baltaro, del quale abbiamo già raccontato molte cose in passato, conferma quanto detto in precedenza e sforna un lavoro deciso, tirato, talvolta ruvido, talvolta vellutato, come in ogni live che si rispetti. Ben equilibrato il risultato sonoro tra le due chitarre di Andrea Orrù e dello stesso Baltaro, e le parti di tastiera, con ampi spazi per tutti, con riff e assolo sempre riusciti e tecnicamente molto validi. Scaletta molto varia per temi e per fantasia, brani freschi e coinvolgenti. Sono le tastiere di Simone Morandotti a dare avvio ad uno dei brani migliori “Angel of March”, per un’apertura dinamica e molto ricca, con un riff che rotola sullo scandire secco del rullante Andrea Beccaro e sul raffinato basso di Daniele Mignone. Il lungo brano, con le sue contrapposizioni di pieni e vuoti, di atmosfere in variare, a crescere e a diminuire, è certamente uno dei punti forti del disco e tra i momenti maggiormente progressive, tenuto conto che faceva parte, in origine, di quel grande lavoro intitolato “Stillsearching” degli Arcansiel. Altro brano proveniente dal repertorio Arcansiel è la ballad “Swimmer in the sand”, scritta dallo stesso Baltaro. Un excursus dei brani ci fa poi intravedere altri due brani di lunghezza semsibilmente più alta della media. Innanzitutto la scoppiettante “Cole Porter and Frankz’s birthday party” burlescamente presentata con richiesta al pubblico di handclapping. Tenuto poi conto, con riferimento alla burla, che tutto il brano è una sequela di riferimenti jazz e zappiani su poliritmie e tempi dispari. Comunque brano davvero divertente e presentato al meglio. E ancora la conclusiva “Nowhere Street part. II” tratta dall’ultimo album in studio “The day after the night before”, che segue lo schema dei brani contenenti una ghost track dopo un periodo di silenzio, addirittura successivo ai saluti dal palco. Citazione d’obbligo anche per la pinkfloydiana “Bike”, già presentata, come versione in studio, nel precedente album, qui ancora più dilatata, un po’ psichedelica, un po’ sperimentale, un po’ rock e un po’ di strascicato pop e un finale molto bello. Un po’ indietro rimangono, parere mio, “I dont mind”, decisamente troppo blueseggiante per il mio gusto, ma comunque brano ben riuscito e molto impegnativo per la voce e la nuova “Brightest Moon” un mid tempo forse un poco anonimo che strizza l’occhiolino a certo rock americano. Spesso i dischi live rappresentano una sorta di suggello ad un periodo, spesso sono preludio di un cambiamento, talvolta voglio essere un messaggio di chiusura con un’epoca, uno stile, un’idea. Non so cosa abbia in serbo Paolo Baltaro, ma, come si suole dire, seguiremo gli sviluppi.
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