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KAIZEN |
Aquila |
autoprod. |
2019 |
BRA |
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Tra le prove più intriganti per un musicista o una band rock c’è sicuramente il confronto con brani o interi album strumentali. In periodi più “propizi” (anni ‘70 in primis) molti sono stati gli artisti e i gruppi che hanno raccolto questa sfida pubblicando album che hanno saputo coniugare un’indubbia qualità artistica al (sempre benvenuto) successo commerciale. Pensiamo a “The snow goose” dei Camel, a “Tubular bells” di Mike Oldfield oppure alle “6 mogli” di Wakeman, solo per citare i primi titoli che mi vengono in mente. I tempi sono cambiati… ma la sfida rimane tale, se non accresciuta in difficoltà, essendo il successo commerciale, in ambito prog-rock almeno, pura utopia. Ciononostante alcuni “valorosi” ancora ci provano a realizzare album interamente strumentali. E’ il caso dei brasiliani Kaizen che, a distanza di venticinque anni (!!) dall’esordio, il notevole “Gargula”, ci riprovano con “Aquila”. Un viaggio sinfonico in otto tracce (4, se consideriamo la suite omonima divisa in cinque sezioni ben distinte) dedicato proprio alla città abruzzese così ricca di storia e di distruzione. A capo del progetto il violinista Kleber Vogel (dei Quaterna Requiem) con il consistente contributo (anche in fase compositiva) del tastierista Wagner André. La line up è completata (non in ogni brano, dove sono presenti numerosi ospiti) da Anderson Machado (chitarra), Didier Fernan (basso) e João Couto Neto (batteria). Parlavamo di ospiti: Sergio Hinds (chitarrista degli O Terço), André Mello (tastierista dei Tempus Fugit), Marcus Viana (dei Sagrado), Roberto Crivano (dei Quaterna Requiem) ed altri ancora sempre orbitanti in band brasiliane. “Gryphus” è la prima traccia dell’album. Un brano iper sinfonico con i synth di Wagner André a duellare con il violino di Vogel in modo sempre brillante ed ispirato e con la “chicca” di qualche intervento dell’elettrica di Hinds. “Mazara” inizia con qualche sentore etnico a ricordare l’antica presenza araba nella zona, per poi sbizzarrirsi in un solido e spumeggiante rock sinfonico con Vogel e Viana che duettano con i loro violini e bilanciano i virtuosismi di André e del suo parco-tastiere. ”Vecchio castello” celebra i 99 castelli presenti nella zona aquilana in antico. Un altro bel brano frizzante che può ricordare, complice l’onnipresente violino, i Kansas coniugati con la spensierata solarità “brasileira”. “Suite Aquila” di circa 18 minuti chiude l’album. In effetti si tratta di cinque brani separati tra loro, con un proprio titolo a renderli ancora più identificabili e come tali li tratteremo. Ecco dunque “Porta Santa” che si apre con le note solenni di un organo, subito seguite dal flauto e dal violino. Una ritmica incalzante ben si sposa con le pulsioni barocche delle tastiere e con il violino di Vogel. Un suono di campane pone fine al brano. La seconda sezione è “La fontana” con belle linee di basso, pianoforte ed ancora il violino in evidenza. Un pezzo d’atmosfera, di squisita fattura, che ci permette anche un momento di relax acustico. Molto più ridondande “O grande sismo” con l’inizio che ricorda gli EL&P di “Black moon” per poi ricondursi su binari più classici con anche qualche spruzzatina heavy. “Canto das almas”, il brano più breve dell’intero lavoro, ci offre ancora un po’ di quiete, con i due violini di Viana e Vogel appena assecondati dal basso, dai piatti e da qualche effetto delle tastiere di André. In chiusura è posta” Fenix”, la rinascita, come quella, appunto, della Fenice. La musica, con le tastiere in primis, ben descrive questo risorgere: brillante, scattante, energica. Una degna chiusura, insomma, di un album davvero convincente dall’inizio alla fine. L’unico appunto che si può muovere a Kleber Vogel e compagni è che (forse….) 25 anni d’attesa per dare un seguito a “Gargula” sono veramente troppi…
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Valentino Butti
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