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GONG The universe also collapses Kscope 2019 UK

Portare avanti un nome pesante come quello dei Gong non può essere facile. Ci vuole coraggio. Tanto coraggio. E bravura. Tanta bravura. Qualità che di sicuro sta mostrando Kavus Torabi, visto dallo stesso Daevid Allen, poco prima che ci lasciasse nel 2015, come personaggio perfetto per far continuare la storia pluridecennale della sua creatura. Se “Rejoice! I’m dead”, uscito nel 2016, era un sentito tributo ad Allen, che pure era riuscito a dare un piccolo apporto, ecco che a tre anni da quel lavoro con “The universe also collapses” i Gong di oggi mostrano il loro nuovo volto a tutti gli effetti. Il dichiarato intento di Torabi era quello di realizzare un disco di pura psichedelia. Ed ecco servito il piatto: 43 minuti di musica lisergica, space-rock, con cavalcate sonore trascinanti e quel mix di suoni provenienti da chitarre, fiati, sintetizzatori, theremin e harmonium su ritmi ipnotici.
Gran parte del merito dell’ottima riuscita del disco va alla suite “Forever reoccurring”, un vero trip sonoro di oltre venti minuti, che merita di essere trattata con attenzione. Si parte lentamente, con un sound acido e atmosferico, non distante da certi corrieri cosmici e che crea la giusta base per quello che sarà poi lo sviluppo della composizione. Verso i due minuti e mezzo si inserisce il cantato, in linea con la musica di questa sezione iniziale. Un altro minuto e i colpi di batteria sono il preludio di un crescendo indolente. Ai quattro minuti e mezzo siamo ormai nel pieno del brano: il ritmo cadenzato permette alle note di scorrere e i musicisti creano questo flusso continuo di puro space-rock. Ed ecco poi che verso i sette minuti inizia una lunga parte strumentale, intervallata da una breve ripresa cantata, che può essere vista come il manifesto dei Gong di oggi: si parte con il sax che guida, ma dopo poco la chitarra lancia una nuova esplosione, mentre il synth gioca sullo sfondo. È un continuo alternarsi, intrecciarsi e darsi il cambio tra i vari strumenti, con temi incisivi e spunti solistici brillanti. Negli ultimi due minuti, infine, rientra il cantato in una sezione abbastanza energica.
Le altre tre tracce magari non riescono a raggiungere gli stessi standard di “Forever reoccurring”, ma la qualità si mantiene abbastanza alta. “If never I’m and ever you” è un tassello breve, spedito e vivace. “My sawtooth wake” è invece una lunga (13 minuti) cavalcata di hard-space-rock, dai toni robusti che indirizza verso lidi moderni la psichedelia di Hawkwind e Pink Floyd. Chiusura affidata a “The elemental”, curiosamente barrettiana, che avanza tra melodie sghembe e acid rock.
Sono lontani i tempi folli e umoristici dei viaggi delle teiere volanti, eppure i Gong di oggi hanno ancora un perché, sanno ancora sorprendere e affascinare, sanno ancora creare grande musica. Come un’araba fenice sono rinati dalle proprie ceneri e, grazie al nuovo maestro di cerimonie Torabi, si tengono lontani da qualsiasi “operazione nostalgia” e regalano sensazioni belle, anzi, bellissime!



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Peppe Di Spirito

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