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BIRTH Born Bad Omen Records 2022 USA

Chi si ricorda degli Astra? Il gruppo di San Diego entrò dritto nei nostri cuori forte delle sue sonorità vintage e psichedeliche, era il 2009, grazie ad un esordio brillante e ben suonato, “The Weirding” (2009), al quale seguì a, 4 anni di distanza, l’ottimo “The Black Chord”… e poi più nulla. Attraverso questi Birth gli Astra rinascono, seppure parzialmente, dal momento che Conor Riley (voce, synth, piano elettrico, organo, chitarra acustica) e Brian Ellis (chitarra elettrica, piano elettrico, percussioni), che ne erano la spina dorsale, rappresentano gli elementi cardine di questa nuova entità, completata da due membri degli Psicomagia e cioè il bassista Trevor Masr ed il batterista Paul Marrone. Questo di cui vi parlo non è l’esordio vero e proprio, visto che è stato preceduto da un EP eponimo pubblicato lo scorso anno che conteneva le versioni demo di 3 dei suoi pezzi. Segno quindi che i brani hanno avuto modo di crescere e rodarsi.
I Birth raccolgono a tutti gli effetti l’eredità musicale degli Astra mentre degli Psicomagia non riprendono le intuizioni più audaci ma ne riproducono in parte lo spirito psichedelico. Dietro un sound così corposo e sinfonico, con ampie cascate tastieristiche, come si presenta a noi la title track che apre le danze, sembra effettivamente celarsi l’ombra di un ipotetico terzo album degli Astra, mai arrivato. I riferimenti sono multipli e toccano grandi classici come Yes e Genesis, soprattutto nei momenti più lirici. Ma possono essere chiamati in causa anche gli Hawkwind, i Pink Floyd ma anche gli Huriah Heep.
“Descending Us” è il primo dei pezzi cantati e ci permette di riscoprire la voce di Conor, a tratti molto simile a quella di Greg Lake. Il brano sfoggia imponenti suoni organistici con belle progressioni melodiche. Di primo piano è anche il ruolo della chitarra di Brian Ellis che in questo caso ci regala polverosi assoli bluesy. In soli 41 minuti di durata l’album ci regala scorci molto variegati e “For Yesterday” sfoggia delle insolite fragranze folk nordiche. Gli scenari lunari ed onirici fanno quasi pensare a Bo Hansson. Il Mellotron è utilizzato a profusione e con i suoi disegni melodici distesi ci porta verso i classici Genesis. Sempre il Mellotron si fa incalzante nella successiva “Cosmic Tears”, uno strumentale che poggia su parti di basso molto solide che forniscono la base per una chitarra dallo spirito libero e molto proteso verso l’improvvisazione. “Another Time” parte come una ballad ma ci colpisce con stacchi imponenti, contrasti e belle progressioni d’organo piene di groove. Con “Long Way Down” siamo ormai in chiusura e si tratta ancora di un pezzo di grande impatto, con contaminazioni hard blues e intersezioni Crimsoniane. Colpisce la costruzione articolata di questi brani, dalle sonorità splendide, ruvide e poco levigate, che rilucono al tempo stesso di tante sfumature.
I sapori sono quelli giusti, per nostalgici direbbe forse qualcuno, ma il songwriting spigliato, il carattere e le grandi doti di questi musicisti rendono questo album qualcosa di più che una specie di bel clone delle glorie passate. Se vi piace pensare, come dicevo, al terzo album degli Astra, non siamo molto lontani dalla realtà e la cosa non ci dispiace.



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Jessica Attene

Collegamenti ad altre recensioni

ASTRA The weirding 2009 
ASTRA The black chord 2012 
ASTRA The black chord 2012 

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