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REALISEA |
Fairly carefree |
OOB Records |
2022 |
NL |
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La mela non cade mai lontano dall’albero. Mi spiego meglio: a capo di questo progetto c’è il chitarrista e cantante Brian De Graeve, meglio conosciuto per essere il frontman dei connazionali Silhouette, gruppo ormai di lungo corso e abbastanza noto nell’ambiente, nonché votato al New Prog più melenso. Aggiungo che alla stessa formazione appartiene anche il batterista Jos Uffing ed i conti sono presto fatti insomma. Alla ricetta viene aggiunta la graziosa voce femminile di Marjolein de Graeve, che si alterna a quella del leader, e poi ci sono alcuni ospiti al violino (Mila Kamstra), al clarinetto (Tamara van Koetsveld), all’arpa (Suzan van den Engel) e notiamo infine la partecipazione di Ton Scherpenzeel dei Kayak che affianca il tastierista di ruolo Christophe Rapenne. Queste integrazioni ci lasciano intuire che sono stati fatti degli sforzi per allontanarsi un po’ dai cliché di un genere che in Olanda ha trovato la sua seconda patria. Si parla addirittura di folk nelle note biografiche del gruppo ma si tratta a conti fatti di pochi graziosi elementi che sentiamo affiorare in modo sparso, soprattutto quando ad esempio entra in gioco l’arpa, come nella deliziosa “Out in The Cold”, o nei momenti più acustici come in “Sheltered”. Subito in apertura ci viene proposto il brano più lungo, “I Could Never Learn”, ed i riferimenti agli IQ si sprecano, complice anche la voce di Brian che ricorda un po’ quella di Peter Nicholls. Le colorazioni tastieristiche non sono troppo sgargianti e spesso vengono sfruttate per creare soffici tappeti sonori di sottofondo. Molto presente è invece la chitarra di Rindert Bul, prodiga di assoli ed arpeggi e di grande sostegno nelle parti più solide. A prevalere sono comunque le tonalità malinconiche e romantiche di brani che presentano arie cantabili, ritornelli, suoni affabili e ritmi regolari, scanditi dal basso di Mark op ten Berg. La delicatezza di alcuni brani ci riporta talvolta ad Oldfield, come in “Trilemma”, dimostrando come il gruppo cerchi spesso un approccio leggero e sofisticato. Il risultato è globalmente apprezzabile e si percepisce molta attenzione nell’elaborazione degli arrangiamenti e in generale nella realizzazione dell’opera ma non evita purtroppo che talvolta i brani si appiattiscano divenendo forse eccessivamente monotoni e lamentosi. Non si tratta di un semplice limite di un genere che se ben interpretato può invece donare molte soddisfazioni agli spiriti più romantici ma di una tara che potrà essere limata in futuro, viste le indubbie capacità di musicisti ben navigati.
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Jessica Attene
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