|
GLEB KOLYADIN |
The outland |
KScope |
2022 |
RUS |
|
Il virtuoso pianista degli Iamthemorning ci offre un nuovo album solista, il terzo della sua carriera, a distanza di 5 anni dall’omonimo e sinfonicissimo esordio del 2018, preceduto dal più lirico ed intimistico “Water Movement” del 2021, opera quest’ultima che, in base alle intenzioni dichiarate dal musicista, avrebbe dovuto fare da apripista a qualcosa di più elaborato e grandioso. In effetti “The Outland” risponde a queste aspettative e si presenta a noi con la forma di una suite sinfonica in 6 movimenti, interpretata con l’aiuto di numerosi ospiti che hanno il compito di rivestire le idee musicali di Kolyadin con una preziosa trama orchestrale. A supporto del pianista c’è un intero ensemble di archi di ben 10 elementi con arrangiamenti appositamente elaborati da Grigory Losenkov, a noi noto per aver già collaborato proprio con gli Iamthemorning. La lista degli ospiti è ancora lunga e troviamo Tony Levin, Tim Lefebvre e Zoltan Renaldi al basso, Evan Carson al bodhran e alle percussioni, Eliza Marshall al flauto, Grigory Osipov alla marimba e al vibrafono, Svetlana Shumcova allo hang drum e Ilya Gindin al clarinetto mentre come componenti fissi registriamo la presenza di Vlad Avy alle chitarre e di Gavin Harrison alla batteria. Quasi a contrasto con la ricchezza delle colorazioni strumentali, il mood dell’opera rimane invece pacato e sognante. “The Outland” rispecchia la necessità di trovare rifugio nel proprio mondo interiore, al riparo da un mondo esterno sempre più folle ed ostile. L’universo musicale che Kolyadin appare intatto e non si lascia scalfire dalle preoccupazioni della vita quotidiana ma è al contrario una risorsa per lo spirito. Questa sensazione traspare dagli elementi sinfonici leggiadri, dalla limpidezza delle linee melodiche, dalla purezza e dalla gentilezza dei suoni e dagli arrangiamenti ricchi ma trasparenti. “Voyager” ci accoglie subito con la sua freschezza e le sue melodie gioiose e primaverili. La sua impronta cameristica e cristallina viene ammorbidita da duttili incursioni fusion che hanno il compito di disegnare meglio le curve di un paesaggio sonoro ricco e gentile. Il pianoforte è parte dell’insieme sonoro e non ne è quasi mai l’elemento dominante, facendo sì che sia messo a fuoco al meglio il disegno complessivo del brano e non le capacità tecniche di un artista consolidato. “Ascension” è notturna e dolcemente malinconica, più pianistica e ricca di passione soprattutto quando si lascia finalmente pervadere da una deriva Crimsoniana con un importante ruolo del clarinetto, protagonista di assoli ispirati. “Cascades” è interamente dominata dal pianoforte e rappresenta il palcoscenico ideale per Gleb con le sue suggestioni romantiche, i giochi di risonanze, la cascata emotiva che ci investe con una scintillante pioggia di note. Superato questo momento centrale la musica torna a vestirsi di panni più pesanti ma comunque preziosi e dal taglio moderno. “Mercurial” è ancora un forziere di sentimenti positivi con la sua grazia, il sound ben scolpito, anche nelle parti elettriche, e la sua ricchezza compositiva densa di temi melodici. “Apparatus” è scolpita da riff di chitarra robusti che creano interessanti contrasti con i contenuti orchestrali di un pezzo duttile e sfaccettato. “Hermitage” ci conduce in fondo a questa esperienza di ascolto con sonorità che tornano delicate grazie al pianoforte e alle calde note della chitarra acustica. Seguendo la scia delle sue passate produzioni Gleb Kolyadin ci offre un album lontano dal repertorio del gruppo madre in cui mette in risalto le sue capacità di musicista e le sue doti di compositore. Il risultato è un’opera matura che conferma il suo grosso talento e che si lascia ascoltare con piacevolezza. Un disco di cui ricordarsi.
|
Jessica Attene
Collegamenti
ad altre recensioni |
|