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THE LOST VISION OF THE CHANDOO PRIEST the lost vision of the Chandoo priest AMS Records 2022 ITA

“The Lost Vision Of The Chandoo Priest” è il nuovo progetto di Niccolò Galliani (tastierista dei Cellar Noise e dei Quel Che Disse Il Tuono) e Francesca Zanetta (sua partner nei QCDIT e chitarrista negli Unreal City). L’album d’esordio, uscito da qualche mese, vede i due protagonisti occuparsi, oltre che dei rispettivi strumenti principali, delle parti di basso, Moog e string-machines (dei sintetizzatori polifonici degli anni ’70) Zanetta, mentre Galliani di basso, batteria, flauto e chitarra.
Se le precedenti esperienze dei due erano incentrate su un prog sinfonico, che poteva spaziare dal dark allo heavy, questo nuovo lavoro, interamente strumentale, già dalla copertina ci spinge verso territori più psichedelici pur non dimenticando qualche sprazzo sinfonico ed anche hard rock in qualche caso. L’opera è composta da dieci brani che non raggiungono mai i cinque minuti di durata, anche se “Chasing time in opposite direction” è divisa in due parti (scollegate fra loro) che sommate sfiorano gli otto minuti. Proprio queste due tracce risultano essere tra le più apprezzabili del lotto con le avvolgenti e, talvolta, eteree melodie nella prima parte a cui fanno da contraltare le bizzarre e “inquietanti” soluzioni presenti nella seconda.
Parlavamo di influssi psichedelici: beh, come non ravvisarne nell’ipnotica “Entering the void of madness” o, ancor di più, in “London underground” che profuma, e non poco, di Pink Floyd “barrettiani”, con la presenza ossessiva dell’organo. Anche l’introduttiva “Floating down the valley” con quell’incedere quasi sacrale ed il bell’intermezzo ancora di organo risente di una certa influenza floydiana. “Farewell dog”, seppur più hardeggiante, sposa appieno la vena vintage che permea l’album. Molto efficace pure “The white toad majesty” che, impreziosita dal flauto di Galliani, avvolge l’ascoltatore in modo quasi magnetico. ”Getting nowhere” è un buon compromesso tra le istanza psichedeliche e quelle più tipicamente sinfoniche.
Insomma, l’esordio del giovane duo meneghino è nel complesso abbastanza soddisfacente: la non facile gestione di un album totalmente strumentale li promuove certamente. L’impressione è che, in qualche brano, le idee non siano state sviluppate appieno, lasciandoci un senso di incompiutezza a cui speriamo i due sappiano porre rimedio in una prossima pubblicazione. Per il momento accontentiamoci così.



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Valentino Butti

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