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OPETH |
Blackwater park |
Music For Nations |
2001 |
SVE |
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Al primo ascolto quest'ultima produzione degli Opeth, la quinta per essere precisi, mi ha lasciato piuttosto interdetto in quanto il disco rischia di presentarsi all'orecchio dell'ascoltatore pił attento e navigato in maniera alquanto contraddittoria con il pericolo infine di lasciare l'amaro in bocca ai fans pił affezzionati... mi spiego meglio: fondamentalmente "Blackwater park" si mantiene dal punto di vista stilistico in linea con i precedenti "Still life" e "My arms youe hearse", quindi ci troviamo davanti ad un metal, o forse dovrei definirlo death-metal, progressivo di chiara matrice svedese con parecchi spunti melodici e creativi non troppo dissimili dalla famigerata trimurti Landberk-Anekdoten-Anglagard. Sia ben chiaro non si sente nessuna nota di mellotron, anzi, riff taglienti e assoli crepuscolari la fanno da padrone insieme a continui cambi di battuta elettro-acustici in cui vocalizzi brutali, al limite della claustrofobia, si alternano a cori malinconici ed intimistici tipicamente svedesi. I problema maggiore di quest'ultima opera (di cui ricordo il produttore e special guest, ovvero tale Steve Wilson!) si riscontra in una certa carenza di idee, il disco si snoda su otto brani in cui gli Opeth ripropongo il loro repertorio precedente senza particolari impennate od inventiva, anzi a dire il vero questo disco sembra uscito direttamente dalle sessions di "Still life".
Quindi, voi direte, stroncatura senza mezze misure??? No, non proprio; alla fine "Blackwater park" nella sua banalitą riesce (quasi) a piacere grazie alle sue tipiche atmosfere crepuscolari e visionarie mai eccessivamente di maniera... insomma si sente che tuttosommato questi ragazzi certa musica ce l'hanno nel sangue e consideriamo quindi questo disco come un buon disco, probabilmente non indispensabile, ma in grado di offrire buona musica. E comunque molto meglio di certo pseudo prog-metal che si sente in giro da qualche tempo a questa parte...
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Giovanni Carta
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