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BLACK BONZO Lady of the light B&B 2004 SVE

Opera prima di questo gruppo svedese dalle caratteristiche molto seventies. CD non freschissimo, datato 2004 e, in apparenza, dimenticato in un cassetto per trent’anni. In un lavoro così ampiamente derivativo, il recensore potrebbe spianarsi la strada e fare un articolo ricco di bei luoghi comuni, ma non è quello che questo gruppo merita.
Vari ed argomentati i motivi: innanzi tutto si tratta di 5 ragazzi tecnicamente molto preparati, con le idee chiare, con un impianto vocale di tutto rispetto, scelta di riff melodici pienamente centrati, assoli mai banali e al contempo mai pretenziosi. Il tutto è giocato su quasi un’ora di un bel rock poderoso, senza sbilanciamenti tra tastiere e chitarre, che ben si spartiscono le linee melodiche con le voci, spesso corali, messe al loro giusto posto.
Tutto bene fino qui … bhè, direi tutto bene anche fino alla fine.
“Lady of the light” è primo brano e title track, sette minuti trascinanti e di grande forza evocativa. Porta alla mente tante cose belle del passato, ma non mi riferisco all’impressione generale del pezzo, ma a piccoli particolari – nemmeno troppo celati – che ne fanno un prato fiorito dai profumi invitanti. Troviamo una ritmica di basso di Echoes dei Floyd, episodi dei Camel da Lady Fantasy, Uriah Heep, Procol Harum, Deep Purple e manciate di sonorità tipiche dell’ Early British Progressive.
Altro intro floydiano psichedelico per il secondo brano “Brave young soldier” che evolve in riff dispari giocato sulle contrapposizione di basso e organo, che finisce per portare un tappeto per la parte cantata. Per la seconda parte del brano tornano i Camel dell’abum Mirage, un riferimento molto presente in tutto il lavoro. Particolare appunto per l’assolo di chitarra, praticamente identico a quello di “Hotel California” degli Eagles, che a sua volta era praticamente identico a quello di “We Used To Know” dei Jethro Tull. Il terzo brano, “These are days of sorrow”, come si suole dire, vale da solo l’acquisto del CD: un prog/folk in 5/4 che evolve in un assolo blues strappacorde e un rientro in melodia da manuale. Con i migliori giri di chitarra e una linea vocale indovinata, un organo che non ha la minima sbavatura, un batterista Mike Israel, da tenere in considerazione per precisione e gusto, un brano, direi, perfetto.
Traballante tra Beatles e Hendrix il successivo “New Day / Intermission”, brano non all’altezza dei precedenti.
Segue “Fantasy World” con l’inizio letteralmente rubato ai Camel e cantato sull’onda di “Strawberry Fields Forever” e sulla minisuite di Abbey Road dei Beatles. L’evoluzione ci porta ad un andamento più Rock per un altro valido brano che ridonda di sonorità vintage.
Un giochino alla Queen vol. 1, con tanto di assolo di chitarra alla May è rappresentato dai tre minuti di “Freedom”. Per il successivo “Sirens” che ne dite di andare a riverire McDonald e Giles? È troppo? Allora gustatevi persino la batteria alla Mike Giles. Io direi estremamente accattivante. Seguono i due potenti hard/blues deep-purpleiani di “Jailbait” e “Leave your burdens”, con echi di Cressida. Finale maestoso Bolero, assolo d’organo e che altro c’è da dire? Ultimo brano “Where the river meets the sea/Lady of the light revisited”. La voce di Magnus Lindgren si fa strada tra un bell’arpeggio di chitarra e una ritmica pulita questa volta pescata da dal primo brano del CD, opportunamente rivisitato, come giustamente porta il titolo.
Concludendo un disco su cui andare tranquilli. Un acquisto che come unica sorpresa lascerà la voglia di ascoltarlo ancora e ancora e il consiglio è quello di non lasciarsi traviare dal primo ascolto, che in effetti può lasciare dubbiosi. Un gruppo molto interessante che fa della diacronia musicale il proprio punto di forza, uniamo questo ad una forte personalizzazione dei temi trattati, ottenendo una miscela sicuramente buona. Dal sito risulterebbe pronto un secondo lavoro. Lo attendiamo con ansia.

 

Roberto Vanali

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