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IAMTHEMORNING Lighthouse K Scope 2016 RUS

Questo terzo album del duo pietroburghese si ispira alla vita e alle opere di Virginia Woolf e Sylvia Plath, ed in particolare alla forte sofferenza psichica che condusse le due poetesse alla morte attraverso il suicidio, ed è dedicato alle persone affette da disturbi mentali, con l’augurio che queste anime perdute non si sentano sole. La bellissima copertina, dal canto suo, ci fa pensare ad una vera e propria tempesta emotiva, con la pioggia fitta che oscura l'orizzonte e le onde impetuose e spumeggianti del mare ma al tempo stesso è una chiara allusione al romanzo della Woolf intitolato "Gita al faro", al quale la scrittrice aveva affidato elementi autobiografici relativi al suo rapporto con la madre. Come potete intuire da questa premessa le emozioni che ci attendono sono forti e finiscono col trascinarci in un mondo fatto di turbamenti e sbalzi d’umore, nel buio di pensieri angoscianti che non trovano vie di fuga.
Questi sentimenti sono impressi nei testi allusivi, cantati con grazia dalla voce eterea e seducente di Marjana Semkina e veicolati da una musica poetica ed oscura, dai forti connotati cameristici, dominata dai fitti intrecci pianistici di Gleb Kolyadin. I due artisti rappresentano il centro gravitazionale di un'opera di grande fascino ma attorno a questo nucleo, di per sé pregevole, ruota tutta una fitta schiera di musicisti che ha subito un avvicendamento quasi radicale rispetto al precedente e ottimo "Belighted” del 2014. Troviamo quindi uno string ensemble con cinque violini, due viole e due violoncelli più un ulteriore violinista, Philipp Sauilin, e un altro violoncellista, Mikhail Ignatov, ecco poi l'arpa scintillante di Andres Izmalov (fra i pochissimi artisti riconfermati) e una serie di strumenti nuovi per il gruppo e cioè la tromba di Sergey Korolkov, il clarinetto di Roman Erofeev, la bombarda di Oksana Stepanova ed il flauto di Tatiana Rezetdinova. Da sottolineare poi il contributo di Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson) alla batteria, Colin Edwin (Porcupine Tree) al basso, e Mariusz Duda (Riverside) alla voce nella sola title track. Il missaggio è opera di Marcel van Limbeek, ingegnere del suono di Tori Amos, artista verso la quale Marjana dimostra di avere diverse affinità e anche la resa sonora, come spero appurerete personalmente, è assolutamente perfetta nella trasmissione dei dettagli sonori e delle emozioni. Gli Iamthemorning sembrano aver raggiunto, con questo nuovo lavoro, un equilibrio perfetto, lavorando molto sugli arrangiamenti, rifiniti fin nel dettaglio più minuto, ma anche e soprattutto sull'impatto emotivo della musica. Rispetto al passato mi sembra che il gruppo abbia rinunciato ad ogni ammiccamento pop ma anche a tutte quelle decise venature rock che potevano rendere più diretta la loro opera che a questo punto guadagna molto in complessità e, ritengo io, in spessore artistico.
La traccia introduttiva, la breve "I Came Before the Water", è come circondata da momenti di silenzio fra i quali si staglia la voce di Marjana, sommessa, romantica e fragile ed è come tuffarsi nel buio di pensieri impenetrabili dove la luce dei flebili cori di archi sullo sfondo arriva appena. Questa parentesi, a suo modo dolce, è come spazzata via dalla successiva "Too Many Years", scandita dal piano ostinato e martellante e da una performance vocale di grande pathos che mantiene l'ascoltatore sempre sul filo del rasoio. L'atmosfera si spezza con l'arrivo degli archi spettrali e dei synth che pesano come una cappa ed è un continuo oscillare di emozioni. Molto particolare è l'inserimento della tromba che, assieme alle evoluzioni cameristiche del piano (e sembra quasi di percepire sulla pelle il peso dei tasti bianchi e neri) mi ricorda incredibilmente qualcosa degli After Crying... e non sarà la prima volta che avrò modo di fare questo accostamento. "Clear Clearer" è molto più tenue, come a concederci un po' di fiato dopo tanta tensione, il canto, in primo piano, contrasta in modo elegante sul fondo oscuro di una musica fatta di impercettibili variazioni, col piano che si agita lontano ed i ritornelli ripetitivi che si trasformano in un dolce tormento. "Sleeping Pills" ha un che di soprannaturale soprattutto per le sue suggestive parti corali (opera del coro "Perezvony" diretto da Larisa Yarutskaya) che ricordano quasi la partenza degli elfi alla volta di Valinor. L'atmosfera, incredibilmente magica, è da film e in effetti, pur nei suoi riflessi gotici, trovo che questo brano potrebbe funzionare splendidamente come ipotetica colonna sonora per un futuro film ispirato al Silmarillion. Nella stuzzicante "Libretto Horror", soprattutto per le parti di piano ritmate e cameristiche, si riaffacciano alla mia mente gli After Crying, così come li potevamo ascoltare nell'ormai lontano "Overground Music" del 1990.
E' sempre il piano ad aprire la successiva "Lighthouse", stavolta con suggestioni molto ispirate a Debussy. Poche note vibranti alternate al cantato romantico sono sufficienti a costruire sensazioni potenti di attesa e rassegnazione. Sul finale si inserisce la voce vellutata di Mariusz Duda, nel pieno di una cascata emotiva dettata dalla musica in crescendo. Siamo al centro dell'album in ogni senso e abbiamo come la percezione che il cuore dell'opera sia racchiuso qui, in questo brano semplice, oscuro e spettrale. "Harmony", uno splendido intermezzo strumentale, ci accompagna verso la seconda parte del disco: dapprima fresco e tenue, col flauto leggiadro ed il piano che accenna melodie ariose, sul finale cresce in complessità con suoni elettrici e orchestrali che si intersecano in uno stile che ancora una volta (ma vi avevo avvertito) rimanda molto agli After Crying.
"Matches" ci dimostra come parti vocali e strumentali possano compenetrarsi con grande equilibrio: quando la voce di Marjana emerge e prende il sopravvento, gli strumenti si ritirano momentaneamente per poi sbocciare nuovamente in tutta la loro magnificenza, con chiaroscuri intriganti e complessi, talvolta con inflessioni jazzy molto eleganti. "Belighted" è particolare per gli intrecci fra l'arpa scintillante e la voce, con gli archi che si allungano su questa visione luminosa e triste, come un velo di immensa malinconia. Il piano sembra risplendere come la lama di luce di un faro che taglia la nebbia e lo scenario che si delinea sembra quasi quello dell'immagine di copertina. Il finale è improvviso e inaspettato e subito dopo ecco un altro brano particolarissimo come "Chalk and Coal", qui le influenze jazz sono palpabilissime, con la batteria che segue ritmi complessi e spezzettati, i fiati che risuonano in modo sinistro ed un mood da film noir, potenziato dalla chitarra elettrica, che pare ispirarsi più direttamente a Dario Argento. "I Came Before the Water part II" riprende come in un cerchio il tema melodico dell'incipit, stavolta ripercorso dalla sola voce, con gli archi che compaiono più tardivamente crescendo progressivamente in intensità fino a sfumare nel suono delle onde del mare. Ma questa non è la vera conclusione: c'è tempo anche per un "Post Scriptum", un fugace strumentale che ci lascia brevi suggestioni finali che ci accompagneranno anche quando l'ultima nota si sarà ormai spenta nel silenzio ultimo.
Impossibile non rimanere colpiti da un album così intenso ed ispirato, in cui ogni piccolo particolare non è lasciato al caso e ove ogni vibrazione sonora è stata accuratamente ponderata. Il gruppo, già autore di produzioni ammirevoli, è cresciuto in modo strabiliante e spero che anche voi ne prenderete atto.



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Jessica Attene

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