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HAPPY THE MAN |
The muse awakens |
Inside Out |
2004 |
USA |
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La Musa degli Happy The Man si è miracolosamente risvegliata dopo un lunghissimo letargo, e sembra anche essersi alzata col piede giusto! Questa volta non ci troviamo di fronte al solito ripescaggio di inediti ma ad un nuovo album con pezzi freschi ed originali, il primo dopo il meraviglioso "Crafty Hands" (se si esclude ovviamente il postumo "Better Late") pubblicato nell'ormai lontano 1978. E proprio con questo capolavoro del passato la band americana riesce a gettare un ponte, realizzando un degno seguito all'album che ha fatto infiammare gli animi di molti appassionati. La rinnovata formazione è purtroppo deficitaria di Kit Watkins, rimpiazzato da un nome d'eccezione, quello di David Rosenthal (meglio conosciuto per la sua militanza nei Rainbow) e alla batteria troviamo invece Joe Bergamini, la cui collaborazione più conosciuta è quella con la band rock fusion dei 4Front. La fanno da padroni assoluti i vecchi Frank Wyatt (sax, tastiere e fiati) e Stanley Whitaker (chitarra e voce) autori della quasi totalità del materiale sonoro proposto (completa la band l'altro membro storico, il bassista Rick Kennel). Non pensiate comunque che Rosenthal sia un banale soprammobile: la sua autorevolezza è dimostrata dalla paternità di ben tre brani (su un totale di 11) che stilisticamente si presentano unitari con resto dell'album. Anzi, si può benissimo affermare che le tastiere di Rosenthal rappresentano un ottimo surrogato di quelle di Watkins e persino l'ascoltatore più attento ne rimarrebbe ingannato: sia le timbriche, attentamente studiate, che lo stile sono stati perfettamente clonati e riproposti in chiave originale e, paradossalmente i pezzi dell'ex Rainbow si profilano fra i più somiglianti al vecchio repertorio. In particolare, sia "Maui Sunset" che "Kindred Spirits" sembrano rispecchiare l'anima più minimalista-Canterburyana degli Happy The Man e potrebbero benissimo mimetizzarsi fra i pezzi che costituiscono il delicatissimo album d'esordio del 1977. In questi casi la soavità delle tastiere, tenui, ricercate ed avvolgenti, riesce a stregare persino gli ascoltatori più esigenti che, come per miracolo, si sentiranno trasportati negli anni Settanta. Sempre alla mano di Rosenthal è stato affidato il delicato compito di aprire l'album e l'artista assolve il suo compito con grande maestria imbroccando un pezzo sapientemente ricamato, a maglie strette, con passaggi sui tasti d'avorio movimentati e colti. Non sempre comunque le tastiere giocano un ruolo da primo attore: molto più spesso infatti sono i fiati di Wyatt a costruire tutta l'impalcatura melodica del pezzo che viene impreziosita dal pregiato lavoro di cesello delle sei corde, oserei dire Holdsworthiane, di Whitaker. Un solo brano (ma questo non stupisce assolutamente i fan degli Happy The Man) è cantato e si tratta di "Shadowlites" la quale ci dimostra che l'ugola di Whitaker non ha assolutamente perso il suo smalto. Se vi piace il vecchio repertorio considerate irrinunciabile l'acquisto di questo nuovo album che ben poco ha da invidiare ai vecchi classici del gruppo. Se non conoscete la band, questo potrebbe essere il primo passo verso l'acquisizione dell'intera ed imperdibile discografia.
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Jessica Attene
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