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PALLAS |
The dreams of men |
InsideOut |
2005 |
UK |
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Negli ultimi tempi mi trovo sempre più in difficoltà quando devo scrivere una recensione per un gruppo che è stato un mito della mia giovinezza. Perché i Pallas io li ho adorati al tempo di “The Sentinel”, li ho apprezzati con “The Wedge” e mi sono anche piaciucchiati al tempo del ritorno con “Beat the drum”. Nel recente passato non ho trovato molti spunti e in generale la scena prog inglese tanto osannata negli anni ottanta e novanta mi lascia alquanto perplesso. Voglio dire che i “mostri sacri” rimasti in circolazione (IQ, Marillion e appunto Pallas) non stanno producendo a mio avviso granché, quelli della seconda ondata (stile Arena o Galahad per intenderci) sembrano aver prodotto solamente un buon fuoco di paglia e per quanto riguarda le nuove leve, forse che ci sia qualcosa di notabile? Il new prog inglese è morto da tempo e i gruppi che dovrebbero comunque regalarci buone o perlomeno oneste produzioni sembrano latitare. E i Pallas?
“The Dreams of Men” si presenta con una veste grafica invidiabile, una produzione altrettanto buona e un set di pezzi dall’aspetto interessante. I brani sono 9 e di media lunghezza (7-10 minuti). Se uno, stupidamente, dovesse farsi una idea del cd dalla copertina e dall’elenco dei brani, beh… probabilmente comprerebbe il cd. Ma la musica contenuta? *sospiro* non si discosta molto da ciò che abbiamo sentito in “The cross & the crucible", anzi l’impressione che si ha è che questa nuova opera sia una sorta di continuazione di un discorso già fatto, già sentito. Se si escludono dei momenti simil sinfonici con archi e sottofondi stirati, da colonna sonora, gli ingredienti musicali sono sempre gli stessi, rimescolati e rimaneggiati per l’ennesima volta. Per carità non c’è nulla di male in tutto questo, se le sonorità sono apprezzate e (attenzione!) azzeccate, se il pubblico si esalta e gradisce comunque, se il risultato finale voluto è mantenere una linea coerente nel tempo… se queste sono le cose importanti, questo cd le rispetta pienamente. Personalmente forse sono un po’ stanco di risentire le stesse idee all’infinito e di questo me ne dispiaccio perché in definitiva questo cd lo ascolterò diverse volte, cercando di trovare qualcosa che mi esalti come mi esaltava “The Sentinel”, e magari alla fine troverò anche che “Too close to the sun” non è poi così male, scoprirò che l’opener “Bringer of dreams” ha un ottimo attacco (uno di quelli che “acchiappano” subito!), mi convincerò che questo “The Dreams of Men” non è poi così male.
Ma in conclusione, avrò mentito a me stesso?
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Marco Del Corno
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