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JUGLANS REGIA |
Controluce |
autoprod. |
2005 |
ITA |
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Si tratta di quattro ragazzi toscani, alle prese con il loro secondo CD, dopo avere inciso vari demos negli anni passati. In principio, la band si chiamava Raising Fear e con questo nome pubblicò il nastro “The Last Gate”, nel 1993, un anno dopo la costituzione. Il suono era molto influenzato dal metal inglese dei primi Ottanta e, in parte, questa influenza è rimasta. Gli Juglans Regia di oggi – formati da Alessandro Parigi (voce), David Carretti (batteria), Antonello Collini (chitarra) e Massimiliano Dionigi (basso) – propongono uno hard prog di eccellente fattura, ottimamente eseguito e inciso. Se il cantato può a tratti ricordare quello dei Litfiba dell’era dark – che nostalgia per quei primi tre album, intrisi di poesia new wave – a connotare in maniera marcata lo stile del gruppo sono basso e chitarra, il primo sempre puntuale nel guidare la ritmica e la seconda capace di alternarsi tra parti più robuste e assoli molto puliti. Sono questi ultimi, in particolare, a rappresentare, forse al meglio, le qualità degli Juglans Regia, avvicinandosi anche maggiormente al progressive (ne ascoltano molto e comunque si sente). Le soluzioni sono raramente banali, le melodie mai scontate. Mancano però le tastiere e la musica proposta ne risente. Migliorerebbe, credo, la tenuta complessiva dei brani e la loro possibilità di imprimersi nella memoria dell’ascoltatore in modo più duraturo. In effetti, da un paio d’anni circa, i quattro fiorentini sono rimasti senza tastierista. Ci auguriamo che lo rimpiazzino presto, le cose potrebbero soltanto migliorare. Al loro approccio, già di per sé abbastanza epico ed evocativo, gioverebbe senz’altro aumentare il tasso di sinfonicità. La composizione migliore, delle sei che compongono questo compact, tutte cantate in italiano, è “Il vento”, con i suoi dodici minuti pieni e di variazioni e di idee. Anche “Riflessi” e “Magnifica ossessione” sono assai valide. Belli gli arpeggi acustici di “Quel che sembra…”, che però dura troppo poco, mentre ne “Il prossimo errore” e “L’ultimo respiro” tornano a galla le basi metal-rock di cui prima.
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Davide Arecco
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