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GREENWALL From the treasure box Rock Revelation 2005 ITA

D’accordo, questa è la stesura definitiva. Per ben cinque volte ho riscritto quasi integralmente questa recensione passando, durante i 6/7 ascolti diluiti in dieci giorni, dalla bocciatura totale senza appello, all’apprezzamento parziale almeno delle parti strumentali, a considerarlo un classico del prog italico. Sono passato da 8 righe ad una paginata e mezza, ho ridotto, tagliato, ricucito, ma forse ci siamo.
Il tastierista, polistrumentista, autore e artefice della situazione, Mr. Andrea “Grenwall” Pavoni è al suo terzo lavoro. È bravo, preparato, suona bene, incide, arrangia, ma, qualcosa che non va c’è.
In questo lavoro ci sono ottime parti strumentali, buone parti melodiche e liriche e parti, dove i brani tendono o tentano di tendere verso una forma più “cantata” che, mi sia consentito, trovo poco riuscite. Dall’inizio…
“Il cunicolo”, che vuole dare una sensazione claustrofobica, è ispirato al racconto kafkiano “La Costruzione”. Per la linea iniziale abbiano tracce di neo progressive, dove ritroviamo la stessa chitarra ribattuta di “The High Water” degli IQ. Il cantato, non per qualche forzatura e non per qualche calata di tono, compensata con dei glissando eccessivi, mi suona una spanna inferiore alle altre parti cantate del lavoro. Seguono due brani fusi in uno. Si tratta di “Dentro la città” e “Abbiamo Ragione”, quasi 7 minuti con una prima parte strumentale decorosa e una seconda da ecatombe, con una melodia?? quasi rubata a Eros Ramazzotti (avete letto bene, quelle robe tipo … Siamo ragazzi di oggi …). L’andazzo lirico tra il cantato e il parlato è, a mio parere, indigeribile. Il tentativo di proporre un qualcosa da radio FM, non mi pare debba essere nelle mire di Pavoni, che può senz’altro mirare più in alto. Il brano è anche dotato di un buon assolo di tastiere, ma quell’inizio catturato da “Impressioni di Settembre” non mi sembra una grande idea. Per il brano successivo “Dondolando sui Laghi di Smeraldo” il cantato si eleva qualitativamente. Musicalmente stiamo parlando di un brano dai toni molto soffici e suadenti. Arriva la successiva “Pollicino”, una favola che si rivela essere il sogno di un bambino e il testo, un po’ infantile (la metafora non è una scusante) può essere la conferma della capacità empatica dell’autore. Oppure, molto più semplicemente, che il testo risenta della giovane età all’epoca della stesura (qualche porzione del disco risale addirittura alla metà degli ’80). Anche qui la musicalità del brano appare centrata anche se strabordante spesso in semplici temi new prog.
Passiamo a “La Gabbia” dove strumentalmente troviamo delle cose egregie. La cosa migliore del disco, che fa da prefazione alla suittona “From Preludio...to the End” 26 minuti ispirati al prog nel senso più ampio del termine. Linee del breve cantato un po’ scontate ma di effetto, meglio le lunghe parti strumentali. La suite è molto (dis)articolata troviamo dentro di tutto (barocco, sinfonico, jazz-rock, blues) e mano a mano che gli ascolti si accumulano queste parti hanno un sapore migliore, anche se verso il finale qualche minuto in meno avrebbe giovato sia sulla galoppata barocco partenopea, quasi da romanza, sia sulla successiva e ad essa bruscamente collegata, sfuriata conclusiva di organo blues-jazz. Gli incastri tra i vari movimenti talvolta appaiono un po’ forzati.
I brani finali: “Intro” uno svolazzo tastieristico, interamente strumentale, ma un po’ fine a se stesso e la ghost track “Là, dove” con un recitato di classe, ma un po’ appesantito dalla ricca farcitura di luoghi comuni e retorica, forse l’avrei evitata.
A mo’ di completamento pare doveroso segnalare la grande classe e la qualità dei suonatori e dei cantori. Buono anche il livello di incisione.
Riassumendo, per non dilungare ulteriormente la lettura, un disco buono a livello strumentale, meno buono per la scelta testuale (ma pare che ormai nessuno ascolti più le parole). Bocciata in pieno “Abbiamo Ragione” poco utili le ultime due tracce. Disco dedicato agli amanti del prog italico, che si sentono di poter apprezzare anche quei cantati di cui ho parlato, o quel prog che spesso si allontana dal genere per cercare strade differenti, non necessariamente migliori, non necessariamente peggiori.

 

Roberto Vanali

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