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FUNGUS Careful! Mellow Records 2006 ITA

Prog, psichedelia o semplice rock italiano? Il quesito che ci pone il CD d'esordio di questi ragazzi liguri può apparire lezioso e peraltro di non facile risoluzione, dato che il CD stesso appare come un mosaico di composizioni di varia natura. Si inizia con delle canzoni piuttosto semplici, brevi, in cui si comincia con l'apprezzare il grazioso cantato di Vittoria Mezzano, dalle attitudini molto jazz, e a convivere con una registrazione dalla qualità sonora un po' approssimativa che fa tanto prove in cantina ma che non sminuisce tuttavia la fruizione della musica. In 10 minuti appena si consumano quattro titoli, tra canzoni vere e proprie ed intermezzi strumentali, fino ad arrivare alla prima delle tracce più lunghe dell'album, ovvero "Share your suicide"; questa parte molto piano e si sviluppa in crescendo con sonorità che la fanno inquadrare come una traccia dai connotati psichedelici, vocalizzi prolungati che fungono da strumento aggiuntivo e un'atmosfera decisamente inquietante, chiusa dalla voce di Cinzia Bernardi che ripete in continuazione il titolo. La tensione si smorza di nuovo con la graziosa "Polipeptide", un quasi strumentale in cui sale alla ribalta nettamente la componente fusion della musica dei Fungus. E' ora la volta del brano più lungo dell'album, la title-track; con essa si torna su atmosfere più psichedeliche, con una batteria nervosa che sembra non trovare requie sotto una chitarra che ossessivamente ripete lo stesso riff, con sussurri e lamenti di sottofondo che accrescono l'inquietudine generale, fino all'accelerazione finale in cui sembra consumarsi il dramma narrato da questo lungo ed angosciante brano (una violenza?). I nostri nervi sono decisamente scossi dopo questo nuovo tormentato episodio musicale; fortunatamente giungono i due strumentali conclusivi, di media durata, che, in maniera diversa, scaricano un po' la tensione. "Latin circle" torna su atmosfere tendenti alla fusion, con un ottimo lavoro della sezione ritmica che costruisce trame complesse su cui chitarra e flauto, senza soffocarla, si inseriscono efficacemente. "Hypnopotamus", che chiude l'album, è un brano un po' meno complesso del precedente e risiede in territori più vicini alla psichedelia, costruito sopra la chitarra di Alessandro Vernetti (come peraltro la maggior parte della musica dei Fungus quale la possiamo qui ascoltare), il quale ci delizia ancora coi suoi lunghi assoli e riff tecnicamente ben concepiti e di innegabile gusto. Un sax e l'atmosfera generale del brano ci fanno venire alla mente i Floyd… ed è così che questo lavoro d'esordio dei Fungus bruscamente termina, dopo averci divertiti, affascinati ed inquietati.

 

Alberto Nucci

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