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OZONE QUARTET Cloud nineology Flat Five Records 2005 USA

Per spiegare cosa rappresenta questo CD occorre partire dal 1995, quando il gruppo, appena formatosi, autoproduce una cassetta, con tre brani, intitolata Cloud Nine. Dopodichè due album in studio, 1997 e 1999 e un live nel 2003. Ora questo nuovo prodotto che per quasi metà raccoglie brani già incisi (i tre della cassetta e due del primo album) e per la parte restante propone brani nuovi e una cover, nientemeno che “The Barbarian” di Emerson, Lake & Palmer.
Per chi non conoscesse il quartetto statunitense la storia ci dice che propone una fusion ispirata, peculiarmente, a due filoni: da una parte la Mahavishnu Orchestra e dall’altra i King Crimson di Red e gli UK.
Il risultato, considerati i presupposti, è un prog che ha tanto dèjà-vù nel DNA, talmente radicato che si passa il tempo a sentire riferimenti in sequenza.
12 brani, ben suonati, ben incisi, con suoni moderni e precisi. Ottima la sezione ritmica con Fran Dyer alla batteria e Wayne Leechford allo Chapman Stick. Molto brava la violinista Hollis Brown che copre tutte le posizioni generalmente tastieristiche, anche se non stiamo parlando di Jobson, Cross, Goodman, né tantomeno di Ponty. Sposta le sonorità gruppo il chitarrista Jeremy Shaw, che talvolta tende a soluzioni un po’ troppo metal petrucciane.
Quindi sviolinate lunge e massicce dalle quali si salvano pochi brani, tempi dispari a profusione, assolo in sequenza continua e cambi di situazione repentini, sono gli ingredienti (già detti per altri mille lavori) di questo CD.
Molto omogenea la proposta e tra i brani citabili, almeno per diverse peculiarità troviamo “Surge” che pare uscito da “Birds of Fire” della Mahavishnu, la notevole “Thief” con parti ritmiche veramente notevoli, la lenta e struggente “Lift”, molto cremisi, “Hypnosis” dove a differenza degli altri brani siamo portati più verso lidi VDGG con Smith e la conclusiva, già nominata “The Barbarian” che porta a suo vantaggio la difficile riconducibilità all’originale, grazie alla sostituzione delle molte tastiere con il violino.
La sufficienza è senz’altro meritata, ma non di più. In fondo il lavoro sconta troppo la dipendenze ispirative. Disco consigliato più per curiosità che per vere valenze intrinseche. L’ascolto è comunque premiato con divertente prog.

 

Roberto Vanali

Collegamenti ad altre recensioni

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