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Il cantante dei Discipline, e così credo che verrà sempre ricordato volente o nolente il buon Parmenter, scrive il suo secondo capitolo da solista, e lo fa ancora tutto da solo, contando interamente sulle proprie forze. Il nuovo album è quindi scritto, suonato, registrato e mixato da Matthew Parmenter. Questo fatto può essere considerato dalla maggior parte dei critici e degli ascoltatori come un limite, e forse infatti lo è, dal momento che la compartecipazione di altri musicisti ed interpreti avrebbe sicuramente arricchito queste composizioni, ben ideate ma senza dubbio scarne; ma alla fine sono arrivata alla conclusione che questa gestione solitaria accresce la sensazione di romantica malinconia che evoca la figura di Parmenter, il cui volto, nascosto dalla cera bianca, sembra quello di un clown che rimane sul palco quando il sipario cala e tutti se ne sono andati. Ecco quindi quello che si percepisce, un senso pesante di solitudine, una malinconia senza fine, un senso di vuoto e desolazione. Un vuoto così profondo e tangibile si riflette anche negli arrangiamenti scarni, nella struttura cantautoriale delle nuove canzoni, come se Parmenter avesse escluso tutti dalla propria vita artistica, anche il suo pubblico. A dominare il quadro sonoro è il cantato, teatrale, visceralmente Hammilliano, a volte quasi spettrale, e ad accompagnare questa voce, amata sicuramente dagli appassionati del prog, è quasi esclusivamente il pianoforte, a volte seguito da languidi archi. La struttura dei pezzi è a dir poco minimale, ma offre la giusta atmosfera per queste canzoni che hanno in comune temi legati all'orrore, alla paura e scenari da incubo. In questo senso la seconda traccia, "O Cesare", con pianoforte e qualche linea di Mellotron sullo sfondo, dominata da vocalizzi strazianti, è molto incisiva. Anche la traccia di apertura, "In The Dark", che Matthew canta accompagnato dal solo piano, indugiando con la voce su alcune parole, e ripetendone altre in maniera tormentata, risulta particolarmente emozionante. Sicuramente una struttura così essenziale delle canzoni può alla lunga stancare e, soprattutto per quelli che non riescono a rinunciare all'idea che Parmenter si sia lasciato ormai alle spalle due album pregevoli di prog sinfonico, come quelli che ha fatto con i Discipline, un disco così può risultare difficile da accettare, ma la mia conclusione, a dispetto di tutto, è che si tratti di un bel disco, pieno di visioni e di emozioni, certamente diverso da quello che l'ascoltatore medio potrebbe desiderare, alla luce della carriera trascorsa dell'artista, ma che mette in risalto le capacità istrioniche ed artistiche di Matthew Parmenter. Se non avete paura del vuoto della solitudine potete concedere una possibilità a questo grande artista.
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