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Quando, dopo una quindicina d’anni di pausa, i Discipline pubblicarono nel 2011 “To shatter all accord”, si gridò quasi al miracolo artistico. La band era inattiva da anni e molti dei brani dell’album erano già conosciuti essendo stati più volte presentati “on stage” negli anni ‘90, anche se solo ora vedevano la luce su delle pubblicazioni ufficiali. “To shatter…” riportava indietro le lancette del tempo ed i riscontri di critica e pubblico furono buoni. Negli anni di pausa della band, il leader Matthew Parmenter non rimaneva comunque inoperoso, pubblicando un paio di buoni album (un terzo, “All our yesterdays”, è del 2016) ed oggi riprende il discorso interrotto qualche anno fa riattivando ancora il caro, vecchio nome Discipline. Purtroppo il chitarrista Jon Preston Bouda (uno dei membri storici) ha lasciato la band, sostituito da Chris Herin (dei Tiles), mentre Mathew Kennedy (basso), Paul Dzendzel (batteria) e ovviamente Parmenter (voce, tastiere, violino, chitarra acustica) rimangono saldamente al loro posto. Un album controverso, “Captives or the wine dark sea”, dove la componente Hammill/VDGG è presente (e la voce di Parmenter non può che ricordarlo) ma in misura minore rispetto al passato ed alcuni pezzi rimandano, per immediatezza, agli esordi di “Push & Profit”. Inedita o quasi (forse un brano in “P&P…. così a memoria…) anche la scelta di inserire ben due strumentali tra le sette composizioni dell’album. I primi due brani, eccellenti, “The body yearns” e “Life imitates art” sono anche i due più “vandergraffiani”. La splendida voce di Parmenter, ora tenue, ora urlata, ora sofferta, le melodie di piano, organo e chitarra, il ritornello “che prende subito” rimandano ai Discipline di “Unfolded like staircase” e di “To shatter….”, forse un po’ meno cupi ed oscuri, ma l’origine è quella. “S” è il primo strumentale e ricorda un poco i Crimson del periodo “Larks” e “Red”, meno duri ma altrettanto ossessivi. Arrivano poi un paio di note piuttosto dolenti. “Love songs” un pezzo acustico, semplice, “saltellante”, quasi indolente e banale rapportato alla produzione del gruppo. Un poco meglio “Here there is no soul” rivitalizzato dagli inserti di organo di Parmenter, ma comunque dall’evoluzione anonima o quasi. Molto meglio, invece, “The roaming game” con il pianoforte a duettare con la chitarra ed un vago sentore jazz-rock molto piacevole. Anche la suite finale è piuttosto lontana dal “canone” Discipline, ma stavolta colpisce nel segno. La voce del leader non è così cupa, sofferta, “hammilliana”, il sound non è oscuro, potente, insistente come eravamo abituati. Ovviamente non siamo di fronte ad un new prog “easy listening” ed annacquato, niente di tutto ciò. E’ presente una magnifica, melodica, chitarra elettrica (molto diversa da quella di Bouda) e ci sono moltissime tastiere (e l’organo non è preponderante) con validi “solos” (ottimo quello finale di synth). Ci sono numerosi cambi di umore, ma niente “dramma”, quasi a voler dimostrare di poter scrivere musica più accessibile eppure di qualità. Un album interlocutorio, se vogliamo, “diverso” anche, e che magari farà storcere un po’ il naso ai puristi di Parmenter & C., ma che rimane di ottimo livello e che, alla lunga, sarà apprezzato e valorizzato come merita, ne siamo certi. La band, ad inizio settembre, è stata ospite del festival prog di Veruno, risultando tra le più acclamate dai fortunati presenti con un’esibizione davvero eccellente. Quando la classe non è acqua.
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