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DELUGE GRANDER The form of the good Emkog Records 2009 USA

Dopo l’ottimo lavoro a nome Birds and Buildings, il tastierista Dan Britton rispolvera la sigla Deluge Grander per un nuovo album all’insegna del rock sinfonico di qualità. L’esordio “August in the Urals”, datato 2006, aveva colpito positivamente per la sua maestosità e per la capacità di soluzioni strumentali sempre attraenti. Questo nuovo parto segue grosso modo le coordinate del disco precedente. L’apertura è affidata a “Before the common era”, molto classicheggiante, grazie anche all’intervento di strumenti classici e perfetta introduzione alla musica di Britton & Co. Nelle successive composizioni, infatti, ritroviamo questo progressive strumentale dalle sonorità altisonanti, guidato spesso dalle tastiere, che evocano un passato molto amato e nomi quali Tony Banks, Rick Wakeman e Patrick Moraz. Tra timbri “mellotronici”, solos infuocati e passaggi in pieno stile Yes i musicisti hanno di che sbizzarrirsi e divertirsi. Ed anche l’ascolto risulta piacevole, perché non si avvertono mai tecnicismi fini a sé stessi, anzi, la presenza di numerosi ospiti che offrono suoni di fiati e di archi in abbondanza e la capacità della band di virare anche su sentieri vicinissimi al jazz-rock non fanno altro che aumentare la gradevolezza della proposta. I Deluge Grander confermano anche la loro bravura a districarsi sulla lunga distanza. Non è un caso che i pezzi più attraenti siano “The tree factory” (14 minuti) e “Aggrandizement” (19 minuti), in cui la band fa volare gli strumenti, crea intrecci da brivido e, ovviamente, punta molto sui cambi di tempo e di atmosfera. Album sicuramente valido e pieno di note positive: una discreta personalità in evidenza, grazie alla buona alternanza di soluzioni “classiche” e scelte più moderne; nulla di miracoloso, ma tutto ben fatto. D’altronde, “The form of the good” ha richiesto oltre due anni di lavorazione ed il risultato è convincente e professionale. Come dicevamo, si ravvisano notevoli similitudini con il cd di debutto, sia da un punto di vista qualitativo che stilistico; non si vede un salto di qualità, ma il mantenimento di standard decisamente buoni che soddisferanno sicuramente tutti i seguaci del rock sinfonico.



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Peppe Di Spirito

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