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Torna all’assalto Glenn Snelwar con un nuovo album a nome At War With Self ed anche in questa occasione ci sono dei cambiamenti per quanto riguarda i musicisti coinvolti. Stavolta addirittura siamo vicinissimi a quella che si potrebbe individuare come una one-man-band, visto che oltre al citato Snelwar (impegnato alla chitarra, al mandolino, al basso, alle tastiere e alla voce), a “A familiar path” partecipano il batterista Manfred Dikkers e Maggie Snelwar che canta in un brano. I punti di contatto con i precedenti lavori restano un certo impeto di base, la bravura strumentale, la voglia di stupire, nonché la spinta per una proposta che nonostante certi legami col passato sia moderna ed abbastanza lontana da imitazioni. “Reflections” è una partenza in quarta, con un sound aggressivo, ma raffinato, vuoi per qualche inserimento acustico, vuoi per i cambi di tempo che denotano tecnica e fantasia. Ancora più ruggente “Diseased state”, che tocca vertici di violenza sonora piuttosto elevati. Ma attenzione! Proprio nel momento in cui si comincia a temere di ascoltare un album troppo “fracassone”, ecco che arriva il colpo da maestro di Snelwar con “The ether trail”, nove minuti e mezzo straordinari, che partono con un sound vagamente à la King Crimson anni ’80, per poi spostarsi su canoni rock con melodie vocali intriganti e passare attraverso esplosioni strumentali continue che culminano in un guitar-solo di rara bellezza. Si ritorna ad un sound molto duro con “The ether trail”, ma qui Snelwar mostra capacità di sintesi e di coinvolgimento, riuscendo a condensare in soli due minuti e mezzo ciò che molti gruppi tenderebbero a protrarre oltre il lecito. Altro momento topico dell’album è “Ourselves”, un prog-metal tecnologico e personale che precede “Etude no. 10”, firmato Hector Villa-Lobos, con buon arrangiamento di Snelwar alla chitarra (prima acustica, poi in versione elettrica e accompagnata dalla batteria), che qui mostra anche il suo background classico. Con “Concrete and poison” siamo vicini ai migliori Dream Theater, mentre la breve “Hope” è una composizione pregevole per sola chitarra che porta a conclusione il lavoro nel migliore dei modi. Due anni dopo “Acts of God” ci ritroviamo di fronte ad un nuovo cd convincente, che rappresenta un ulteriore passo in avanti del progetto At War With Self, ormai approdato ad una maturità completa. Ah, se tutto il prog-metal fosse così!
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