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SHADOW GALLERY |
Digital ghost |
Inside Out |
2009 |
USA |
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Diciamo la verità: se non avessi trovato questo cd in mezzo alle offerte speciali di un noto centro commerciale, difficilmente avrei comprato un nuovo lavoro degli Shadow Gallery. Non seguivo il gruppo americano da un po’ di anni e ho “ri”-scoperto le loro ultime produzioni (“Legaci” e “Room V”) dopo aver saputo della tragica morte di Tim Baker (frontman ed elemento caratterizzante di questa band) stroncato da un infarto a 45 anni.
Fa sempre un certo effetto considerare che sono già passati quasi venti anni dall’esordio su etichetta Magna Carta di uno dei gruppi che hanno fatto la fortuna del progmetal classico, essendo stato uno dei gruppi più gettonati (all’epoca come oggi) dagli appassionati del genere dopo i Dream Theater.
Ed è innegabile che, se è esistito il progmetal, questo genere ha esaurito totalmente quello che aveva da dire e questa etichetta ora viene appiccicata a qualsiasi cosa in cui una chitarra distorta si accompagni ad una tastiera o ad elementi musicali non canonici. E’ anche vero che lo stesso discorso vale per il new prog, quindi senza farsi troppe masturbazioni mentali sull’esistenza o no di elementi innovativi in dischi di questo genere andiamo a parlare di questo “Digital Ghost” tenendo bene a mente queste note introduttive.
“Digital Ghost”, infatti, è un disco per vecchi e per vecchi intendo chi ha cominciato a seguire questo mondo musicale provenendo dal metal classico, difficilmente un ragazzo che segue anche solo il progmetal ascolterà questo disco tra tre o quattro anni, pronto a metabolizzare l’ennesima “novità” che il panorama metal (ops… prog) è pronto a propinargli. E’ un disco per vecchi perché è il classico esempio che mostra il fianco alle critiche della vecchia guardia del progressive, quando si parla di progmetal.
Sette brani musicali che non cambiano la storia della musica e che non sono stati scritti per cambiarla, dove la tecnica si unisce a melodie sempre accattivanti e azzeccate.
Brian Ashland da un punto di vista professionale è un signor cantante che si adatta alla perfezione alla musica degli Shadow Gallery e non fa rimpiangere (parlo solo dal punto di vista tecnico) la bellissima voce di Tim Baker. Logicamente gli elementi caratterizzanti del genere ci sono tutti, anche se la barra di navigazione è senz’altro spostata nella maggior parte dei brani verso il versante metal con elementi che richiamano spesso i Queensryche o i primi Savatage o (perché no...?) certe cose del Malmsteen solista.
I brani migliori sono senz’altro quelli più duri come “Strong” con ospite alla voce quel Ralf Sheepers già frontman di Gamma Ray e Primal Fear e la title track che in quasi dieci minuti riesce a sintetizzare benissimo quello che erano gli Shadow Gallery di venti anni e quello che sono oggi ossia una perfetta sintesi di cosa è stato (e forse ancora cosa sia) il prog metal. Da segnalare anche “Haunted” dove, ad un inizio queeneggiante, si contrappone un finale duro nel quale gli Shadow Gallery mettono in campo il loro lato tecnico migliore...
Esiste anche un’edizione limitata (non in mio possesso) con le ultime cose registrate da Tim Baker prima della morte.
In questo disco non c’è niente, assolutamente niente che non abbiate ascoltato da altre parti (addirittura il riff del brano “Gold Dust” è simile se non uguale a quello di “One” dei Fate Warning...) e su altri cd, ma è un disco piacevole e che si fa ascoltare.
A parecchi (tra i quali mi inserisco anche io) basterà, a molti forse no, ed è un aspetto da mettere in conto.
Personalmente son contento che questo gruppo sia ancora sulle scene.
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Antonio Piacentini
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