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DORIS BRENDEL The last adventure Sky-rocket records 2010 UK

Di solito quando ascolto un disco a mio parere bello, per poi doverne scrivere una recensione, il mio pensiero va subito a chi s’imbatterà nelle mie righe. Nel caso sempre più raro di un lettore che acquisti un CD recensito bene dal sottoscritto, questo lettore rimarrà soddisfatto di quello che ha comprato nel momento in cui farà girare il dischetto nel suo impianto HiFi? Quando si parla di una “materia” così vasta come è quella rock progressive, c’è sempre il rischio di far rimanere deluso qualcuno ma, considerato che la mia macchina non è più nuova e che le righe sulla carrozzeria sono oramai una realtà, mi prendo questo rischio incredibile lodando questo lavoro di Doris Brendel.
La cantante dei Violet Hour, figlia di Alfred, uno dei più grandi interpreti della musica classica mondiale, ci propone dodici brani che potrebbero veramente piacere a tutti… a tutti meno che agli appassionati prog.
Cosa potrebbe infatti spingere un appassionato di rock sinfonico (o di psichedelica o di RIO o di Zeuhl o di Canterbury) ad ascoltare ed acquistare un lavoro dove si trovano, accanto ad atmosfere progressive (il termine atmosfere non è usato a caso perché ci sono solo queste), echi Beatlesiani, funk, musica celtica, molto dei Cranberries? Mai come in questo caso è necessario ascoltare più che scrivere di un disco che fa della sua ecletticità il suo punto di forza, e bisogna necessariamente mettere in evidenza alcune tracce che compongono questo lavoro.
Un brano come “Latest fantasy” è degno del repertorio migliore dei Mostly Autumn, “Why are you still here” è la sistesi del suono Marillion era Hogarth unita alla freschezza commerciale dei Muse. Lo stesso discorso vale per “Work in progress” un buon riassunto di quello che è l’aspetto più commerciale del mondo progressive attuale.
E il resto del CD? Bastano tre brani dall’aria progressive per fare acquistare un CD ad un povero progster che ascolta solo Yes (o Magma o Henry Cow o Pendragon)? Conoscendo questo mondo direi senz’altro di no. Rigirando in ogni modo la frittata, potremmo affermare che un disco come questo, prodotto magnificamente, suonato altrettanto bene, incentrato sulla bella e calda voce di Doris, in una bella gita con gli amici che non ascoltano quello che di solito amiamo noi (e ti chiedono per l’ennesima volta di fargli ascoltare “Viva la vida” dei Coldplay) è un vero e proprio jolly da tirare fuori come ai tempi di Giochi Senza Frontiere e sono sicuro che il vero appassionato prog saprà riconoscere il valore e il lavoro che c’è dietro in questo semplice, commerciale, spensierato disco da macchina.


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Antonio Piacentini

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