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SCHERZOO |
01 |
Soleil Zeuhl |
2011 |
FRA |
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Dopo due album solisti di discreta fattura e che hanno catturato l’attenzione dei seguaci dello zeuhl magmatico, François Thollot decide ora di “accomodarsi” dietro la batteria e di formare un gruppo vero e proprio, supportato da Anthony Béard al basso, François Mignot alla chitarra, Jeremy Van Quackebeke al piano e Guillaume Lagache al sax alto. Se finora aveva puntato più sulla potenza, con questa band denominata Scherzoo il discorso si fa più ampio. Già cominciando a prendere in esame l’utilizzo di una strumentazione più variegata rispetto al passato è facile intuire come questa circostanza permetta dinamiche più particolari, ma bisogna anche notare come da un punto di vista stilistico ci sia un avvicinamento verso il jazz-rock. Il sax è spesso protagonista, soprattutto con temi avvincenti che guidano splendidamente i vari brani. Ma gli intrecci con il piano elettrico e con la chitarra nervosa rappresentano un altro punto di forza dell’album. I musicisti si inseguono e si alternano in frasi solistiche che mostrano la loro eccellente caratura. Per la maggior parte dell’album tutto scorre in maniera abbastanza fluida e i vari pezzi riescono ad essere decisamente trascinanti; e se in alcuni frangenti le ritmiche incandescenti portano ad un jazz-rock addirittura furioso e caotico, non mancano sprazzi in cui le acque si calmano e le atmosfere si fanno più pacate e misteriose. L’accoppiata basso e batteria si produce al meglio in ciò che una perfetta macchina ritmica impegnata nello zeuhl deve garantire: fa sentire la sua potenza, ma è anche capace di spingere gli altri strumenti verso accelerazioni mozzafiato, mostrandosi duttile, fantasiosa e imprevedibile. Thollot sfodera una prova maiuscola e dimostra come mai aveva fatto prima d’ora di essere un signor batterista. Delle sei composizioni che sono presenti in “01”, tutte dal minutaggio abbastanza elevato e interamente strumentali, ne firma ben cinque (solo “Béba” è opera di Mignot). Una menzione particolare va a “Voyage au bout de la nuit”, che con i suoi diciannove minuti porta a termine il lavoro. L’apertura con sax e con ritmi curiosi sembra quasi spingere verso la scuola canterburiana, ma gli stacchi improvvisi portano il brano di volta in volta verso lo zeuhl magmatico, o un jazz soffuso, o folgori zappiane, o arrivando persino a lidi crimsoniani del periodo “Lizard”-“Island”, il tutto con una naturalezza incredibile che non fa mai venire meno coesione e solidità. Dopo una prova di tale livello non si può non sperare che Thollot decida di dare un seguito a quest’album!
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Peppe Di Spirito
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