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Passano altri quattro anni ed i Korai Öröm approdano alla casa discografica ungherese 1G Records. Si riprende il leit-motiv degli album omonimi, differenziati solitamente dall’anno di pubblicazione, e continua l’abitudine di non dare alcuna denominazione ai brani, se non puramente numerica. A parte ciò, sembrerebbe che in questo frattempo Emil Biljarszki e compagni abbiano finalmente deciso che strada prendere, senza approssimazione e soprattutto senza lo sgradevole senso di finzione che aleggiava sul precedente lavoro, nonostante quest’ultimo presentasse comunque degli spunti apprezzabili. Sicuramente l’ingresso del fiatista Paizs Miklós ha raddrizzato molte cose, facendo tornare a quelle sonorità evocative del passato. La dimostrazione è palese già nell’iniziale “2005/1”, dove le tastiere dello stesso Biljarszki sono molto più presenti che in passato. A ciò occorre aggiungere il buon inserimento della voce di Veronika Harcsa, che nei primi due pezzi si alterna abbastanza bene con quella dello storico cantante Tibor Vécsi. Anche il nuovo chitarrista Gábor Szántó appare ben affiatato con il collega Péter Szalai ed infatti gli assoli sono sicuramente più numerosi.
Una strada ben precisa, si diceva all’inizio. Lo space è ormai il genere dichiarato, ma le rinnovate influenze etniche ne danno un carattere di originalità, nonostante il termine di paragone resti sempre e comunque la band di Eddie Wynne. Caratteristica molto evidente in “2005/2”, dove la scia del bel gioco di doppie voci maschili e femminili viene sapientemente seguita dagli altri strumenti in un incedere etno-psichedelico. Diversi brani denotano delle ritmiche più “facilone”, ma gli interventi chitarristici rimangono sempre e comunque di buon livello, nonostante l’uso a volte smodato dei samplers. A tal proposito sembra molto buona “2005/6”, tra assoli di chitarra e di tromba, in un’atmosfera molto rilassata da film giallo francese degli anni ’70.
“2005/8” è una festosa danza indiana che ricorda molto i primi lavori, grazie al gran lavoro di Szabolcs Toth al sitar, concludendo con la (semi)elettronica “2005/9”, dove primeggiano gli spunti del bassista Zoltán Kilián.
Un lavoro, questo del 2005, che presenta un’ottima produzione e nonostante i contenuti non arrivino ai livelli delle prime uscite, comunque ci si va spesso vicini. Anche se per accorgersene necessita più di un ascolto.
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