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Oibò, i Korai Öröm mettono i titoli ai propri pezzi! Un evento epocale, dato che fin dal loro esordio discografico del 1995 non era mai successo. Certo, un senso di confusione di fondo doveva comunque permanere nelle intenzioni dei nostri, perché questo del 2009 è il quinto album omonimo pubblicato dalla band ungherese. A parte questo, la collaborazione con la label 1G Records iniziata quattro anni prima ha dato i propri frutti. Infatti, i magiari danno alla luce quello che per molti versi è il miglior album della loro intera discografia. Un sound finalmente solido, massiccio, che non lascia spazio ad alcuna leggerezza commerciale che spesso si era fastidiosamente affacciata nelle releases del gruppo. Il lavoro del 2009, assieme alle uscite dei russi Vespero, si colloca davvero come la più accreditata risposta ed alternativa agli Ozric Tentacles.
Come già era avvenuto sul lavoro precedente, le tastiere di Emil Biljarszki sono parecchio presenti e l’ingresso del fiatista e polistrumentista Miklós Paizs porta preziosa linfa vitale. Péter Szalay è rimasto per quasi tutta la durata dell’album l’unico chitarrista e ciò sembra averlo reso maggiormente libero di esprimersi. Aggiungiamo, poi, l’intreccio di voci tra Tibor Vécsi e Tatjana Kalmykova, come avviene nella suggestiva “Új Arab” o come in “Úszós”, dove la sola Tatjana conduce l’ennesima danza araba.
“Tizenketto Negyed” è una dura risposta alla band di Eddy Wynne, mentre “Latin” è pervasa da delle percussioni stile Santana assolutamente entusiasmanti.
Brani come “Kinai”, “Mbira” e la conclusiva (splendida) “Akusztikus” sono molto meditativi, anche se parecchio diversi l’uno dall’altro e quindi, proprio per questo, da ascoltare con attenzione.
“A Paraszt Visszavág”, che vede la presenza dell’altro chitarrista Szántó Gábor, potrebbe essere usata come musica per quei filmati dove si illustrano gli sballi notturni dei “giovinastri” dell’Est! “Szubarú”, invece, è una sorta di mantra in lingua madre.
Il migliore album dei Korai Öröm, si diceva. Forse i fans della prima ora non sarebbero d’accordo. Probabilmente non avrebbero tutti i torti, perché all’inizio gli ungheresi portavano alla ribalta un insieme di contenuti musicali molto profondi ed originali. Il problema è che molto spesso non si riusciva (o non si voleva) svilupparli appieno, come avrebbero giustamente meritato.
La pubblicazione del 2009 mette in luce un prodotto bilanciato in tutte le sue parti. Sta adesso agli ascoltatori far propria tutta la loro discografia (ne vale la pena) e tirare le somme.
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