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VAN DER GRAAF GENERATOR Alt Cherry Red Records 2012 UK

I Van der Graaf Generator ci avevano già provato con il doppio album del ritorno, “Present”, nel 2005. Il secondo dischetto di quel lavoro comprendeva una serie di improvvisazioni, che mostravano il gruppo in fase di “riscaldamento”, ma che sono state accolte con pareri contrastanti. Oggi fanno un nuovo tentativo, senza i fiati di David Jackson, proponendoci un’altra ora di jam-sessions registrate tra il 2006 e il 2012 in vari studi. Massima libertà, partendo dal nulla e rinunciando alla voce di Hammill… Un Generatore che si accende con basi completamente diverse dal solito, azionato per ottenere un nuovo tipo di energia, per sperimentare ancora. Non si può negare che Peter Hammill, Hugh Banton e Guy Evans manchi il coraggio di prendere dei rischi, lo sapevamo già, ma stavolta forse hanno esagerato.
La traccia di apertura di questo cd, “Earlybird”, funge da introduzione, con cinguettio di uccelli e curiosi suoni percussivi (difficile non fare paragoni con il celebre pezzo di Roger Waters presente sul floydiano “Ummugumma”), mentre la successiva “Extracuts” ci fa entrare nel cuore del lavoro immediatamente con un sound asciutto, essenziale, senza fiumi torrenziali di note ed una durata breve che caratterizzerà molti degli episodi presenti nel disco. L’album va avanti principalmente con dissonanze, stravaganze, effetti sonori bizzarri, tratteggi ambient/psichedelici che offrono sfondi inquieti e/o onirici (e con non poche reminiscenze di Pink Floyd e Tangerine Dream). In tutto questo bailamme è il drumming fantasioso di Evans ad emergere spesso e anche in pezzi da pochi minuti diventa sovente protagonista, mentre Banton all’organo alterna sequenze spettrali e passaggi più spediti. Sorpresa (ma non troppo): è Hammill quello che appare più defilato. Da segnalare qualche momento più arioso, come “Colossus”, nel quale le tastiere disegnano atmosfere particolari con vaghe reminiscenze di musica classica (almeno nella parte iniziale; poi pian piano il brano sembra perdersi per strada), anche se l’atmosfera si mantiene minacciosa e “Midnight or so”, breve ed apprezzabile oasi melodica guidata dall’organo. Altre buone intuizioni si possono trovare in ”Splendid”, forse la più “imparentata” con i lavori recenti del Generatore, “Repeat after me”, dove il piano tratteggia delle linee melodiche più accattivanti e mostra un filo conduttore più fluido, uno sviluppo più naturale, e nel tripudio tastieristico di “D’accord”. Qua e là si avvertono anche delle idee che danno l’impressione di poter essere state sviluppate meglio, in una vena assimilabile alle composizioni più tipiche dello stile che negli anni ci hanno fatto conoscere i Van der Graaf Generator, mentre l’unica divagazione vicina al jazz sembra essere “Elsewehere”. Il delirante finale affidato ai dieci minuti e mezzo di “Dronus”, tra onde sonore continue, che sembrano quasi uscire da un vecchio album di corrieri cosmici tedeschi, porta alla conclusione un lavoro difficile da digerire nella sua interezza e da sorbirsi tutto di un fiato. Lo spirito di libertà di cui è pienamente pervaso, la capacità di rischiare e di non essere banali sono tutte caratteristiche che dimostrano sicuramente che i musicisti sono in cerca di nuove sfide. Gli intenti, insomma, sono anche apprezzabili, anche se il dubbio che ci sia una forte componente narcisistica può saltare in mente. Il problema è che anche il più sfegatato fan del Generatore stavolta farà fatica a seguire la band e questa musica, che, pur non priva di spunti interessanti, alla lunga, tra continui alti e bassi, si rivela parecchio pesante.


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Peppe Di Spirito

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