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PAATOS |
V |
GlassVille Records |
2012 |
SVE |
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Né mini album né best-of ma un po’ tutte e due le cose per il nuovo album dei Paatos che di conseguenza non è né carne né pesce. Quattro nuovi pezzi e quattro ripescaggi, tratti ognuno da uno dei quattro dischi in studio che dal 2002 si sono succeduti nella loro discografia. La storia del gruppo è caratterizzata dal distacco degli ex membri dei Landberk, Reine Fiske già dopo l’esordio discografico, il bellissimo “Timeloss”, e Stefan Dimle all’indomani della terza fatica in studio, il debole e poppish “Silence of Another Kind”. Con il quarto album, l’elegante e semplice “Breathless”, si registra anche l’allontanamento del tastierista Johan Wallén. Ma non è questa progressiva perdita di pezzi il problema fondamentale di questo gruppo, che trova la sua solidità in una line-up comunque molto valida e soprattutto nella bella voce di Petronella Nettermalm, quanto la sua cedevolezza verso soluzioni pop e potenzialmente radiofoniche che in certe opere è più forte che in altre. Dopo “Breathless”, in cui venivano recuperate certe visioni sofisticate, seppure semplici e leggere, con questa prova si ricade a piedi pari nella trappola. Sappiamo bene di cosa questi musicisti siano capaci, conosciamo il loro gusto compositivo e le loro doti ma questo album, e lo dimostrano anche le versioni “remix” di “Precious” e “Your Misery”, sembra un estratto in pillole di quanto più digeribile ci possa essere nel repertorio dei Paatos. Un tentativo di avvicinarsi a settori di mercato più economicamente gratificanti ma dal valore artistico un po’ dubbio. “Precious”, che vede la sua gemella originale in “Breathless”, acquista suoni elettronici e scanditi, con gli impulsi regolari di una sintetica drum machine a tenere il filo. “Your Misery”, tratta invece da “Silence of Another Kind”, diventa qualcosa di rumoroso e disturbato che potrebbe risuonare in qualche discoteca densa di fumi e lampi di luce che fendono il buio. Un po’ diversa è la sorte delle versioni alternative di “Tea” (dall’esordio “Timeloss”) e di “In Time” (da “Kallocain”) per le quali è stata scelta una lieve veste acustica ed intimistica. Si tratta di due versioni davvero molto belle ma che comunque da sole non rappresentano forse uno stimolo sufficiente all’acquisto dell’intero disco. Abbiamo parlato di ciò che conoscevamo e ci mancano ancora i quattro inediti che, nella versione in vinile, occupano l’intero lato A. Si tratta di quattro pezzi di durata abbastanza omogenea e dalla struttura piuttosto semplice, appesantiti al punto giusto da riff di chitarra, vuoti di particolari tastieristici e con una performance di Petronella oserei dire scolastica per le sue potenzialità e priva di quelle pendenze che ci lasciano assaporare la duttilità della sua voce. “Feel” e “Desire”, i primi due pezzi, sono quelli appena più oscuri, anche se non troviamo quel forte tocco gotico di alcune produzioni passate. “Cold Water” e “Into the Flames” invece sono più solari e rappresentano due pezzi non troppo elaborati di pop con qualche scolorita vena sinfonica. Fra questi va un po’ meglio “Desire” che presenta qualche elemento molto diluito di psichedelia e un tocco orientale. La sostanza comunque non cambia e spero che queste nuove canzoni non facciano da apripista ad un full-length costruito interamente con questa forma mentis. Se questa volta l’ispirazione variabile del gruppo è oscillata nella sfera delle tentazioni commerciali, allora ci sta che al prossimo giro torni verso territori musicalmente più interessanti.
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Jessica Attene
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