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TIRILL |
Um himinjǫður |
Fairy Music |
2013 |
NOR |
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Non lo ascoltate in macchina, almeno non la prima volta, né dimenticatelo lì in sottofondo se avete altro a cui pensare, ma scegliete un’occasione solo per lui, magari quando fuori piove, fatelo in cuffia, con tranquillità. Se ascoltata in questo modo la musica vi cullerà dolcemente nella vostra solitudine ma soprattutto riuscirete a captarne le tantissime, tenui sfumature. Come riuscireste a notare il profilo di impronte lasciate di fresco nel candore abbagliante della neve appena caduta se andaste di fretta? O come riuscireste a percepire i morbidi fiocchi che scendono come piume? La musica contenuta in questo nuovo album, il terzo in dieci anni di carriera solistica dell’artista norvegese, è una carezza che arriverà delicatamente alla vostra anima, se lo vorrete. Il cantato di Tirill è sempre sussurrato, come in cerca di un intimo dialogo col cuore dell’ascoltatore, mentre la musica è un prezioso ricamo imbastito con tonalità folk e crepuscolari, tanto esile quanto magnifico. Al suono dolce del flauto e a quello elegante del violino, alla semplice ma calda chitarra acustica, si affiancano di quando in quando quelli vintage delle tastiere con Mellotron e Hammond. Un esempio brillante di questo connubio è dato dalla splendida “In their Eyes”, dal tessuto musicale gradevolmente frastagliato, rinfrescata da gocce di psichedelia e impreziosita da un lontano canto di uccelli che si confonde con la musica. L’ambientazione rimane comunque essenzialmente acustica, sulla scia di quanto abbiamo potuto già potuto apprezzare con l’esordio e nel successivo “Nine and Fifty Swans” del 2011. Anche l’idea che lega le canzoni è molto suggestiva: Tirill immagina che ci venga donato un mondo tutto nuovo da abitare ma mantenendo la consapevolezza di quanto abbiamo lasciato nel vecchio, con la possibilità quindi di poter scegliere cosa cancellare e le esperienze di cui far tesoro. In questo clima di incontaminata bellezza e speranza si muovono i testi di Tirill, poetici e suggestivi, fatti di fragili visioni. La musica è leggera e brumosa e il folk più che mai celebra il legame con la terra e le radici della tradizione, un tesoro da portare con sé per costruire la vita futura. Il titolo stesso dell’album è preso da una antica raccolta di poemi sulla mitologia norrena, l’Edda poetica, contenuta nel manoscritto medievale islandese Codex Regius, come a voler rafforzare il legame col passato. Fra gli altri brani da ricordare segnalo “The Poet”, con gli archi gentili, il Mellotron e l’organo Hammond sul finale, in un tripudio di sonorità acustiche e vintage, leggermente rinforzate da sottili scosse elettriche. Proprio in questi frangenti emerge quel che rimane del legame che una volta univa Tirill ai connazionali White Willow, quando nell’ormai lontano 1995 suonó nell’acclamato “Ignis Fatuus”. Ma il tempo è passato e di strada ne è stata percorsa. Se la successiva, e già citata, “In their Eyes” porta con sé molto di quel progressive rock a tinte nordiche che tanto ha scaldato il cuore degli appassionati negli anni Novanta, nel suo complesso questo album conferma la vocazione intimistica, introspettiva, poetica e cantautoriale di Tirill che si è costruita un mondo musicale tutto suo e in cui di sicuro vi ritroverete a vostro agio. A racchiudere la musica bellissima troviamo infine una bella confezione in digipack in cui dominano i colori della terra, corredata da un booklet con foto artistiche di rocce e muschi e tutte le liriche. L’invito è quello di scoprire questo mondo, con un occhio anche alla produzione musicale passata, nel caso questo fosse il vostro primo approccio con Tirill.
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Jessica Attene
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