|
A distanza di circa un anno da “Hungarian eclectic”, Tamas Pócs, alias Tompox, piazza subito un secondo colpo! Confermando una formazione che vede presenti, al fianco dello storico bassista dei Solaris, il tastierista Endre Balla, il chitarrista Gabor Berard, il batterista Péter Szula e il flautista Adam Tasi (più la presenza di alcuni ospiti), il nuovo album “The dark side of the Sun” prosegue grosso modo sulla scia del debutto. Anche in questo lavoro, infatti, si privilegia un sound prevalentemente strumentale (gli interventi vocali sono ridotti ad un momento recitato e a qualche parte corale), chiaramente indirizzato verso il rock sinfonico di cui è stato paladino il gruppo di culto ungherese. Dieci le tracce presenti, dall’introduzione epica di due minuti e mezzo “Tizenegyedik dimenzio” alla conclusiva “P.S. with friends” (in cui compare anche un sax), passando per composizioni articolate e dall’elevato minutaggio come la title-track e “Sunrise” (classiche cavalcate ricche di cambi di tempo e di atmosfera e di intrecci tra flauto, tastiere e chitarra), per gli eleganti movimenti pianistici di “Polaris” che cedono poi spazio all’elettricità e per altri brani più brevi (tra i quattro e i cinque minuti), ma che riescono a mantenere il disco pienamente omogeneo. Essendo un musicista impegnato al basso al centro di questo progetto, ampio rilievo è dato a questo strumento, che si prodiga in riusciti spazi solistici e che nel missaggio riceve il giusto risalto, ma ancora più che nell’esordio si avverte il ruolo fondamentale giocato da Endre Balla, coautore insieme a Tompox di tutte le composizioni. Eppure, alla fine, quello che colpisce di più con il proprio strumento è Adam Tasi, che con il flauto disegna magistrali percorsi sonori contribuendo a “marchiare” il disco ed il sound esattamente come faceva Attila Kollar con i Solaris. Volendo trovare qualche differenza rispetto a “Hungarian eclectic”, si può notare come in alcuni momenti la chitarra ruggisce un po’ più forte, dando sferzate vicine al metal, e come, in generale, si avverte quasi una minore spontaneità, con qualche lungaggine di troppo in alcuni frangenti. “The dark side of the Sun”, nonostante qualche eccelso momento di classe, non riesce del tutto, quindi, a ripetere il grande impatto del suo predecessore nel rinverdire i fasti dei Solaris. Resta comunque un disco valido, da avere se si piace questo tipo di prog, ma sembra meno ispirato rispetto all’album d’esordio.
|