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KING OF AGOGIK Exlex beats sAUsTARK Records 2014 GER

«Undici pezzi. Undici musicisti provenienti da sei nazioni. Settantasette minuti di tempo. Ottantotto parti rubate. Un digipack di sei facciate e un booklet di 24 pagine, un album pieno di progressive music… Che volete di più? Eh, cosa? Un gelato??». Sono queste le parole che accompagnano il quinto album della creatura del batterista/polistrumentista Hans Jörg Schmitz, denominata King of Agogik. Un preambolo scherzoso che, presentando gli articolati contenuti dell’ultimo lavoro, riesce a far inquadrare quanto si andrà ad ascoltare. Dopo due anni dalla precedente uscita, l’ensemble tedesco ripropone una musica progressiva con contenuti scherzosi, dotata però di un aspetto formale assolutamente complesso. Schmitz ha sempre adorato giocare ad estrapolare dichiaratamente partiture altrui per poi mischiarle alle proprie composizioni, facendo partecipare gli ascoltatori ad una specie di “indovinello del prog” lungo tutto il minutaggio. Del resto, il termine “agogica” – già usato nell’antichità per indicare il movimento ascendente della melodia – fu introdotto da H. Riemann per determinare le variazioni di movimento all’interno di una composizione. Modificazioni di andamento che possono lasciare anche ampi spazi discrezionali all'esecutore. Ed ecco che lo strumentista teutonico erge se stesso a “Re dell’Agogica”, modificando – per l’appunto! – determinate partiture già affermate a proprio piacimento. E per i propri scopi.
Rispetto al passato sembra che Schmitz abbia sempre più affinato la tecnica con cui dar vita al complesso mosaico, riuscendo (quasi sempre) a non dare la sensazione di ascoltare singoli pezzi appiccicati tra loro con il nastro adesivo. Le numerose parti sono quindi meglio amalgamate ed anche “nascoste” con maggior cura, tanto che il batterista ha avuto modo di dichiarare che se qualcuno riuscisse a riconoscerne cinquanta, sarebbe molto bravo. Chi ne riconoscesse settanta, già sarebbe un vero esperto. Qua e là possono essere sentite tracce di Beatles, Debussy, King Crimson, Grieg, AC/DC, Genesis, Strawinsky, ELP, gli Yes di “Owner of a Lonely Heart”, persino gli Europe… Sicuramente Schmitz profonde buona parte delle energie nel suonare il meglio possibile la batteria, accompagnato da ottimi musicisti come il chitarrista Dago Wilms, il bassista Pantelis Petrakakis o l’altro celebre polistrumentista Steve Unruh (qui al flauto e al violino), che sia da solista che con i Resistor ha dato alle stampe dei gran bei lavori. Sembra quindi che sia stato finalmente trovato l’amalgama giusto e che se si avvertono degli stacchi bruschi ciò avvenga volontariamente. Come accade ad esempio nella lunga ed iper cinetica “11th Sense”. Da riportare che le composizioni sono accompagnate da brevi commenti/sottotitoli in differenti lingue; e così, “Lick Me” (ogni commento è superfluo…) è corredata dalla frase in italiano: “… il divertimento continua…”. C’è da credere che Hans Schmitz e Dago Wilms, che si sono occupati di tutti gli strumenti, si siano divertiti veramente suonando a tutta velocità partiture che comprendevano – tra le altre cose – brandelli di Black Sabbath, Knack, Metallica, Nirvana, Lenny Kravitz e compagnia bella.
Su questa falsariga vanno segnalati gli oltre ventidue minuti di “Thin as a Skin”, chiaro omaggio ai Jethro Tull, prima richiamati più o meno velatamente grazie alla destrezza di Unruh, poi citati in modo plateale con “Thick as a Brick”. Il pezzo ne potrebbe essere una parodia, anche grazie all’inserimento di “Take Five” (David Bruberck). Una citazione anche per la bella e piena d’atmosfera “Nomouglea”, per l’iniziale “Bronto’s Navel”, nonché per le complesse “Sheol” e “The Chasteness”, ma anche “Musicogenic Epilepsy” con Michael Elzer al chapman stick “The Venturous Dream of a Schlabbershirt”, entrambe con un buon lavoro di Pantelis Petrakkis alle quattro corde.
Insomma, l’aspetto di un lavoro del genere è duplice: qualche sommo esperto potrebbe scocciarsi, mentre qualche altro tipo di ascoltatore potrebbe divertirsi parecchio. Soprattutto riascoltandolo più volte, in modo tale da cogliere quei riferimenti che prima erano sfuggiti. Se pensate che questo tipo di gioco possa piacervi e che la musica sia anche divertimento, allora “Exilex beats” – un puzzle fin dal titolo, in quanto è un misto di latino ed inglese che vuol dire “Ritmi malvagi” o giù di lì – può fare al caso vostro. Un gioco (nel suo essere pazzoide) strutturato piuttosto bene.



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Michele Merenda

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