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MALCOLM SMITH |
We were here |
Trope Audio |
2014 |
USA |
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Probabilmente, di primo acchito, il nome Malcolm Smith non vi dirà nulla. Se, però, avete i cd dei Metaphor potete effettuare il collegamento, visto che della band americana Smith è stato chitarrista e fondatore. Con “We were here” questo musicista e compositore decide di effettuare il passo della carriera solista e lo fa nel migliore dei modi, organizzando il tutto con grande professionalità, contornandosi di colleghi di valore e, soprattutto, realizzando circa quarantotto minuti di musica di buonissima qualità. Se i Metaphor avevano seguito un percorso di chiarissimo stampo genesi siano, ripercorrendo sonorità e atmosfere carissime agli anni ’70 di Tony Banks e soci, in questo cd il discorso tende ad allargarsi. Smith, infatti, alla base prende spunto non solo dai Genesis, ma anche da altri paladini del più classico progressive rock britannico, per poi provare a metterci quel pizzico della farina del suo sacco e personalizzare un po’ le cose. In tutto questo hanno risposto all’appello il batterista Mattias Olsson degli Anglagard, nomi cari agli appassionati, il tastierista Marc Spooner, già compagno di avventura nei Metaphor e il bassista Loren Gustafson. A completare la lista dei partecipanti ci sono i cantanti John Marby (anche lui presente nei Metaphor, oltre che nei Mnid Furniture) e Deborah Roth, nonché la presenza di Rich Longacre e Craig Launer, ospiti in due tracce a dar manforte con le loro chitarre. L’inizio del lavoro è subito travolgente con i quasi sei minuti di “Peyronie’s angle”, un tour de force di cambi di tempo e incastri strumentali di alta scuola che ci fa incontrare un rock sinfonico ben articolato, un po’ sulla scia di Yes e Gentle Giant. Ed è ancor alo yessound a caratterizzare “Cavity research”, brano che vede la chitarra elettrica di Smith in bella evidenza. In “Monkey signature” addirittura si sente l’eco dei Van der Graaf Generator, anche se tutto è sempre indirizzato verso una “via americana” e pronto a variazioni intriganti anche per merito di belle soluzioni elettroacustiche e trovate stravaganti con melodie circensi un po’ à la Flower Kings. Tanta vivacità strumentale accompagnata da melodie vocali cariche di feeling, invece, in “Still… life”, uno dei due pezzi cantati; l’altro è “Les canards de guerre”, in cui si nota anche una complessità esecutiva tale che può richiamare persino certe esperienze di Frank Zappa. Per ultimo, ricordiamo la suite di tredici minuti e quaranta secondi “Sykiatry”, sicuramente il momento clou del cd, in cui emerge la mai sopita passione verso il romanticismo dei Genesis (cosa che si nota grazie al guitar-playing che sicuramente deve non poco agli insegnamenti di Steve Hackett) che va ad unirsi a trovate new-prog, divagazioni tastieristiche di matrice anche jazzistica e “americanate” varie sulla scia di Cathedral, Mirthrandir e Yezda Urfa, il tutto supportato da una sezione ritmica in grande spolvero. Sembra che i Metaphor pubblicheranno un nuovo disco nel corso del 2015; se avete voglia di ingannare l’attesa con l’ascolto di “We were here” vi troverete ad ascoltare un disco pieno di buona musica, di un prog magari non originalissimo, ma nemmeno così banale e, ad ogni modo, suonato alla grande. Ci sono tutti gli elementi per considerare quest’album anche più che una buonissima compagnia.
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Peppe Di Spirito
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