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Si prospetta un 2016 in grande stile per il polistrumentista e cantante britannico Steve Hughes, che ha programmato l’uscita di due cd, uno a maggio ed uno a dicembre, che sono le due parti dell’ambizioso concept “Once we were”. Per chi non lo conoscesse, Hughes è stato batterista in formazioni quali Enid, Big Big Train e Kino e ha già al suo attivo il lavoro solista “Tales from the silent Ocean”. Il nuovo album, la cui prima parte andiamo ora a trattare, racconta le avventure di un uomo in grado di vivere su più linee temporali, affrontando amore, dolore, morte e varie altre vicissitudini. In questo viaggio sonoro il compositore si impegna alle parti vocali e suona batteria, percussioni, basso e chitarra, ma si circonda anche di altri ospiti al canto, al basso, al violino e alle chitarre. Quasi a mettere le cose in chiaro si parte con una lunghissima suite, che tocca i trentatré minuti, intitolata “The Summer soldier”. Si tratta di un brano di carattere epico, con tastiere in nettissima evidenza a creare questo sound magniloquente indirizzato a volte verso un classico rock sinfonico, a volte più vicino al new-prog dei primi Marillion. Le ampie parti strumentali, oltre ad un’apertura ariosa con atmosfere intriganti e soavi cori femminili che portano alla mente il Mike Oldfield di “Incantations”, sono sicuramente i punti di forza di questa prima traccia, che si snoda attraverso i consueti cambi di tempo, regalando attimi di grande pathos, ma anche qualche momento un po’ meno ispirato. In pratica, in questa suite, si delineano già i pregi e i difetti che si riscontreranno durante l’ascolto dell’intero cd: tante buone idee, valide le esecuzioni e le scelte per gli arrangiamenti, non pochi i momenti trascinanti, ma anche un’eccessiva lunghezza che porta a qualche situazione di stanca e qualche effetto elettronico che sembra completamente fuori contesto. La scaletta prosegue alternando brani ad ampio minutaggio, ripresentando quelle caratteristiche new-prog già evidenziate in apertura, e tasselli più brevi, che vanno da un pop-rock elegante (“A new light”, “Second chances”), al pezzo melodico classicheggiante per piano e archi (“Propaganda part 1”). Il risultato finale è positivo, ma per goderne appieno bisogna isolarsi dal mondo per quasi un’ora e venti e, con il libretto contenente testi e disegni indicativi in mano, seguire le avventure narrate musicalmente da Hughes. Come dicevamo, a volte può essere un po’ stancante, ma i numerosi picchi regalano buone emozioni, aiutano a risollevare l’attenzione e fanno capire che siamo di fronte ad un artista dalle ottime potenzialità. Sempre che il new-prog non vi abbia del tutto stufato…
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