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NTH ASCENSION |
Ascension of kings |
Sonic Vista/Melodic Revolution Records |
2014 |
UK |
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Le radici di questa band risalgono a molti anni fa, dall’amicizia di tra il cantante Alan Spud Taylor, il chitarrista Martin Walker e il tastierista Darrel Treece-Birch che, a più riprese avranno modo di suonare insieme in varie piccole bands. Tutti i pezzi arrivano ad incastrarsi tra loro quando, nel 2009, Darrel si trova casualmente a suonare in una band assieme al batterista Craig Walker, figlio, di Martin, e dai due nasce l’idea di formare una nuova band, chiamandovi a partecipare i due vecchi amici. La band registra un demo nel 2011 e successivamente si mette al lavoro per il vero e proprio album d’esordio, quello che qui vi presentiamo, dopo aver cooptato il bassista Gavin Walker, fratello di Craig (e ovviamente figlio di Martin).
La musica dei Nth Ascension (inizialmente nominatisi Nth Degree) è un NeoProg piuttosto muscolare, dai toni spesso epici, influenzato da Arena e i primi Marillion, ma anche da Magnum, Saga e Dream Theater, fortemente caratterizzato dalla potente e matura voce di Alan. Le tematiche cantate sono adeguate alle atmosfere musicali, con storie di cavalieri, re e oscuri reami; l’album non è un concept, anche se è presente una suite, “Clanaan”, divisa in tre parti, le cui vicende, pare, ritroveremo anche negli album successivi… per chi avrà il desiderio di seguirne gli sviluppi. I 6 capitoli di quest’album iniziano con la battagliera “Fourth Kingdom”, quasi un pezzo Metal; tronfio, eccessivo, dai toni ridondanti e kitsch, la chitarra costantemente su riff pesanti e le tastiere che intessono tappeti magniloquenti. Un brano che non costituisce il migliore dei biglietti da visita, a mio parere. Poco cambia con la successiva “Return of the King”, più breve ma in cui, per lo meno, la chitarra fa sentire più efficacemente la propria voce, approfittando della momentanea assenza del cantato. E’ abbastanza bravo Martin alla chitarra, non c’è dubbio, e anche suo figlio Craig alla batteria se la cava più che egregiamente; non è certo il lato tecnico il deficit della band. “Strange Dreams” mostra un lato più marillioniano e, pur sempre con ritmiche potenti e il solito susseguirsi di riff taglienti, presenta qualche variazione di umore interessante. La già citata suite “Clanaan” presenta alcuni dei momenti migliori dell’album, sicuramente i più tranquilli; l’Overture è uno strumentale guidato dalle tastiere, con belle atmosfere quasi eteree. Inizia poi una parte in cui Alan canta quasi sottovoce (!!), con voce delicata e melodica, su sottofondo soffuso, mentre nella terza è la chitarra, melodica come non mai, a guidarci sognante verso le future avventure di questo regno. Torniamo sulla terra con “Weight of the World”, ma non in modo brusco; il brano è una lunga ballad che in un certo senso mi ricorda qualcosa di Wetton, molto delicato e melodico ma un po’ troppo sdolcinato e banale. L’album si chiude coi 18 minuti e passa di “Vision”, una composizione che narra dell’esodo degli Ebrei dall’Egitto e in cui torniamo (nel bene e nel male) su tonalità epiche, anche se il pezzo è abbastanza vario e alla fine piuttosto divertente. Consiglio quest’album essenzialmente a chi ama un new Prog energico: chi adora Ayreon ed apprezzava i Grey Lady Down non potrà fare a meno di gradire questo esordio della band inglese.
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Alberto Nucci
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